18/03/2010 - A partire da oggi, lo Studio-Galleria Embrice propone la mostra, curata da Carlo Severati,
Fotografia come fatto mentale: fotografie e un libro di Giorgio Stockel, dedicata al fotografo e architetto, milanese di nascita ma romano d’adozione, Associato di Percezione e Comunicazione Visiva presso la Facoltà di Architettura Ludovico Quaroni, alla Sapienza.
Il lavoro di Giorgio Stockel è esposto attraverso un percorso articolato in quattro diversi momenti logici: tre diversi temi espositivi che raccontano brani della carriera ormai quarantennale del fotografo, e un’occasione di riflessione teorica, la presentazione del volume dello stesso Giorgio Stockel,
Fotografia come fatto mentale, che si terrà il 26 marzo, con interventi di Humberto Nicoletti Serra, Francesco Galli e Carlo Severati.
L’itinerario si snoda a partire dagli esordi, con immagini inedite, risalenti al 1967, nelle quali Giorgio Stockel ridisegna – più che rilevare – alcune architetture borrominiane. In queste prime immagini lo spazio sembra stranamente e ostentatamente bidimensionale. Le prospettive, ricostruite sulla stampa, sono qui puro pretesto per un’indagine che è volta alla superficie e alle possibilità della sua ri-costruzione attraverso il segno grafico. E anche laddove la luce prospetta la profondità, i vuoti e i pieni sono ridotti alle campiture nette del bianco – che è sempre abbagliante – e del nero uniforme, per ricondurre l’attenzione sulle geometrie astratte delle linee del barocco borrominiano. Anche il pieno possente di un pilastro rilevato al Palazzo Farnese del Sangallo a Caprarola, è la scusa evidente per rilevare i giochi dei delicati chiaroscuri disegnati dal tempo sulla superficie in una specie di
trompe l’oeil naturale.
Ed è proprio al tempo –
kronos - che è dedicata la seconda e importante tappa dell’itinerario. La scoperta suggerita all’osservatore è che è il tempo a determinare la forma. Poiché, se l’essere di un oggetto è determinato dalla sua identità nel tempo, è anche vero che la sua immersione nel divenire ne determina la trasformazione. Kronos agisce come un acido dirompente sulla realtà, scava le superfici e ne fa emergere le crudezze della materia: ne troviamo traccia su cipressi millenari poggiati tra le erbe levigate di giardini cinesi; sui ruderi slabbrati di architetture che, stentiamo a immaginare, siano state regolate da precise e ordinate geometrie; sul volto stesso del genere umano. Qui, il lavoro del fotografo è – contraddittoriamente – cogliere l’attimo (il kairos), che mostra il lavoro incessante di kronos.
Un cortocircuito semantico operato dalla percezione, per cui si ferma per sempre un processo attraverso la sua rappresentazione, introducendolo nella dimensione circolare del sistema, solo apparentemente, chiuso di un’opera d’arte.L’ultima e terza sezione di immagini in esposizione è un omaggio all’Aquila. Città fotografata a lungo nel 1982, della quale il terremoto del 2009 ha messo a nudo la fragilità registrata nelle immagini attuali.
Gian Luca De Laurentiis