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Marble Architectural Awards: Aspettando Carrara
Alla galleria con[fine] di Apricena una mostra coi progetti in pietra locale
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17/05/2010 – Il Marble Architectural Awards di CARRARA celebra in questo anno il suo 25° Anniversario con un’edizione speciale del tradizionale premio MAA, i Silver Awards.
 
Alla selezione del premio hanno partecipato opere realizzate in tutte le aree geografiche del mondo e con qualsiasi tipo di utilizzazione della pietra, per ampliare i criteri di partecipazione e valorizzazione dell’uso dei materiali lapidei in Architettura.
 
L’iniziativa ormai storica per la Internazionale Marmi e Macchine di Carrara, si propone ogni anno di valorizzare tutti quei progetti capaci di contribuire ad un più significativo utilizzo della pietre ornamentali nell’architettura contemporanea, sia in senso tecnico che formale.
 
La galleria con[fine] di Apricena (Fg), ha inteso dare un proprio contributo all’iniziativa segnalando, per la partecipazione al premio, quattro progetti realizzati con la pietra di Apricena. Tra questi ben due opere hanno ricevuto la menzione d’onore, testimoniando la qualità dei materiali utilizzati e la capacità dei progettisti di svelarne il valore.
 
La mostra delle quattro opere, che anticipa di una settimana la cerimonia di premiazione a Carrara  (programmata il 22 maggio), vuole essere un segno di riconoscimento verso gli autori dei progetti, per il grande successo ottenuto ed una espressione di gratificazione, per un materiale che non finisce mai di stupire.  
 
I progetti in mostra:
 
- Piastra Verde – Parco Urbano Attrezzato a San Severo, G. Alessio Scarale

L’intervento di riqualificazione e recupero ambientale in oggetto ha interessato l’intera fascia perimetrale dell’area destinata a ‘parco urbano attrezzato’ del Comune di San Severo, quella cioè a ridosso delle tre strade urbane che la delimitano, per una superficie di circa 17.500 mq.
 
L’opera si inserisce nella parte nord della città, in un contesto periferico caratterizzato dalla presenza di un alto numero di unità abitative ma quasi del tutto privo di servizi e spazi per lo svago e l’aggregazione, all’interno di un lotto di cinque ettari.
 
Le ragioni della soluzione prescelta derivano non solo dagli incontri di natura tecnica avuti con la Pubblica Amministrazione, nei quali si manifestava la necessità di potenziare, dal punto di vista urbanistico, una zona periferica degradata per favorire lo sviluppo di un’area di quartiere densamente popolata e, al contempo, dotare la città di uno spazio ‘verde attrezzato’ per lo svago e la socializzazione, ma anche da quanto dibattuto nei ‘forum’ pubblici tenuti con gli abitanti del quartiere, grazie ai quali è stato possibile perseguire un alto grado di progettazione partecipata.
 
Il progetto ha recepito gran parte delle indicazioni puntuali pervenute mettendo a fattor comune le esigenze dell’Amministrazione Comunale con le aspettative della cittadinanza e le conoscenze e abilità specifiche dei progettisti. 
 
L’adozione di un recinto - un muro ‘continuo’ di pietra calcarea locale - che ricordasse le mura della città, con le sue porte di accesso, le sue strette vie che da esse si dipartivano e i suoi percorsi perimetrali, quali il ‘giro interno’ e il ‘giro esterno’ alle mura. 
Dall’altra parte, uno degli obiettivi principali fissati nella fase iniziale di concezione del parco era che lo stato finale dei lavori mostrasse un alto livello di progettazione sfruttando al meglio soltanto quegli strumenti, in qualche modo architettonici e d’arredo, che la natura stessa mette a disposizione, per ricreare quegli scenari tipici del paesaggio pedegarganico che in qualche modo l’opera cerca di riprodurre; materiali naturali e autoctoni, che rappresentassero le eccellenze produttive del territorio cui appartengono e raccontassero quello stesso territorio, tracciandone un profilo di solidità e durevolezza.
 
Esattamente ciò che esprime la pietra calcarea locale.
 
Il recinto di pietra, con conformazione “a scarpa” a inclinazione variabile, è stato realizzato con blocchi di “pietra di Apricena” del tipo ‘faldina’ montati ‘a secco’, in filari  non regolari ottenuti con la sovrapposizione di diversi elementi e l’accostamento degli stessi lungo la ‘linea di recinzione’. Tra i vari conci di pietra, di diversa grandezza, non sbozzati e non perfettamente lavorati nei giunti, sono stati appositamente lasciati dei vuoti, all’interno dei quali sono state poi inserite essenze erbacee perenni tipiche della zona garganica, che conferiranno al recinto l’insolito aspetto di un ‘muro vegetale’.
 
E’ utile sottolineare a questo proposito gli aspetti riguardanti la ‘sostenibilità’ dell’intervento: per quanto concerne l’uso della pietra, sono stati utilizzati, e quindi recuperati, solo pezzi di scarto provenienti dalle fasi di estrazione e di lavorazione; infatti i blocchi usati per la recinzione sono di spessore non superiore a 30 cm, quindi difficilmente commerciabili, motivo per cui solitamente finiscono triturati nelle ‘macine’; come pure i grossi ‘trovanti’ usati nella porta d’ingresso, che non hanno, allo stesso modo, alcun valore di mercato se non quello, quasi irrilevante, riguardante l’aspetto ornamentale e artistico. Alla fine, tutta l’operazione ha avuto costi bassissimi per la fornitura e limitati costi di trasporto e esecuzione, con un impatto minimo sull’ambiente.
 
- Piazza dell’ex Biblioteca a Grottaglie, Marco Volpe e Francesco Vaccina

Le suggestioni che hanno conformato il progetto: la Chiesa esistente ed il suo retro, l'elemento esterno maggiormente degno di considerazione: una presenza incombente da cui l'intero spazio trae senso; l'esplosione dei colori e delle forme, le linee ed i saturi colori di Grottaglie: linee rette, volumi semplici, colori chiari, materiali autoctoni; le cave di tufo: la Grottaglie in negativo, le pareti scoscese portano i segni dei tagli, una uniforme trama che articola le superfici; i muri a secco di divisione tra le proprietà nella campagna, segni che da ogni punto di vista si stratificano intersecandosi con i tronchi degli olivi; i materiali: il cotto, la pietra bianca, il carparo, il giallo, il blu, il verde, le ombre nette, gli olivi ed i fichi d'india.
 
Il progetto pensa ad uno spazio inedito, un bosco che nasce dalla pietra, un bosco in cui muoversi e sostare, parlare seduti e ripararsi dal sole.
 
Un bosco di varie essenze arboree che nasce da un pavimento uniformemente variegato, un tessuto fatto di tre materiali e tre formati che si ripetono con moduli da 2 metri.
 
La pavimentazione, un ampio vassoio che abbraccia la Chiesa rendendola partecipe della composizione rispetto al quale emergono gli elementi del progetto: il muro di fondo ed il volume dei servizi pubblici, posto come contrappunto alla facciata della Chiesa, in parte rivestito di pietra, in parte di listelli di cotto, un elemento reso parzialmente permeabile dalla presenza di alcune bucature; il sistema delle panchine, pensate come increspature della superficie, i corsi e i ricorsi della pavimentazione che si alzano rivestendo i parallelepipedi di muratura; il sistema degli alberi: di cinque essenze/forme diverse, che vanno a formare una serie articolata di spazi vuoti per la sosta e di percorsi per muoversi nella piazza e tra i vuoti; il sistema delle luci, che sottolinea gli elementi della piazza; il sistema delle aiuole ed il sistema degli inserti al pavimento (in frantumi di maiolica smaltata con i colori tipici e in pietra bianca) concludono la composizione.
 
Tutto l’iter progettuale e realizzativo del progetto è stato caratterizzato dalla ricerca costante del rapporto tra l’opera e il territorio.
 
La scelta per questo cade (oltre l’uso del cotto naturale per cui Grottaglie è famosa nel mondo) su tre tipi diversi di pietra: la pietra Santafiora, il bronzetto di Apricena, il Biancone di Apricena.
 
Le ultime due sono parte integrante delle terre pugliesi, sono parte integrante del paesaggio circostante; la prima ha colore e consistenza tipica del tufo delle cave che costellano Grottaglie.
 
Un tessuto duro e consistente, in tre materiali e in tre formati che si ripetono con moduli da due metri sul quale si innesta un bosco di differenti essenze arboree.
Un bosco che sembra così nascere dalla pietra, da un pavimento uniformemente variegato.

- Casa alle Ventiquattro Scale, Fernando Baldassarre 
Il programma  riguarda la costruzione di una casa, previo l’abbattimento di due fatiscenti piccole unità immobiliari;prevede  inoltre il collegamento fisico e funzionale di due vani  attigui  posti uno al piano seminterrato e l’altro al piano terra dell’edificio confinante.
La posizione d’angolo del piccolo lotto e le relazioni con il suo intorno hanno determinato le matrici progettuali. La scalinata che costeggia il lotto  si è imposta immediatamente come elemento espressivo  del progetto. L’edificio si pone come fulcro, punto di convergenza delle tensioni spaziali e architettoniche che la scalinata, il piccolo slargo e l’eterogeneità  edilizia esistente  definiscono.
 
Incastrata come volume d’angolo, la casa  è concepita come un  blocco di pietra, dalla geometria squadrata  e rigorosa, segnata da poche ed essenziali bucature. E’ attraversata internamente da un ideale volume verticale che dalla cantina all’altana individua una serie di funzioni ponendosi  come nucleo distributivo e funzionale.La loggia d’angolo ha una doppia funzione: unico  grande segno  teso a conferire  carattere aulico all’edificio e spazio  di affaccio e fonte di luce per la casa. La bucatura  del garage e le sovrastanti asole definiscono  una partitura ermeticaritmata da pieni e da vuoti e le asole quasi come graffi sulla superficie muraria, strappi necessari,  creano  lame  di luce all’interno.
 
Le limitanti normative comunali (m.6,70 filo gronda) hanno  suggerito di elevare una quinta architettonica oltre la falda del tetto  per verticalizzare la facciata. Essa è segnata da una grande asola orizzontale  sul fronte verso lo slargo, mentre su quello della scalinata  ne riprende l’ideale proiezione quasi a voler cercare una ricucitura tra l’esistente e il nuovo. Sullafalda inclinatadel tettopoggia un’altana con una pergola in legno ,una sorta di tetto rovesciato ad ali asimmetriche che con la sua  leggerezza dialoga con la stereometria della casa.Una lunga trave in legno, che sormonta la pergola e conclude lo sviluppo verticale della casa,  sbalza dal filo della facciata laterale invadendo il vuoto della scalinata e con la sua ombra definisce un’inusuale meridiana. Dall’altana  lo  sguardo  si eleva e conquista relazione con il paesaggio.

Il materiale utilizzato per il rivestimento esterno è la  Pietra di Apricena nei tipi Rosatino H60,Biancone H120 e Bronzetto .Volutamente si è scelto di utilizzare blocchi di seconda scelta ,cioè  quelli che  normalmente sono definiti  blocchi di “scarto”.Essi  sono caratterizzati  dall’eterogeneità delle stratificazioni e coloriture,dalle inclusioni saline o ferrose e dai  cosiddetti “strappi” . Ciò che di solito è considerato difettoso in questo caso è divenuto materia poetica.
 
Il rivestimento è composto di lastrine a spessore 2 cm tagliate a correre  che seguono un modulo differente tra loro sia in altezza sia in lunghezza.Sono state sottoposte ad una puntellatura meccanica uniforme (realizzata con una martellina a tre denti) e spazzolate in successive fasi d’abrasione con pigmenti di fibre di carbonio fino ad ottenere una patina levigata. L’uso consapevole di materiale di scarto segnate da lacerazioni epidermiche e da venature  tenere, ha permesso nelle varie fasi di lavorazione di ottenere un risultato d’effetto plastico e cromatico che muta con il variare della luce (bianco all’alba, oro a mezzogiorno e rosato al tramonto) e degli agenti atmosferici (notevole è la “geografia” cromatica che il rivestimento assume dopo la pioggia).
 
La cantina di Piano Paradiso, Nicola G. Tramonte

Sono trascorsi ormai dieci anni dal progetto di Nicola Tramonte per la cantina di Peppe Zullo  sulla splendida collina di Piano Paradiso ad Orsara e, certo, né l’autore né il committente avrebbero mai immaginato un interesse così incredibilmente crescente intorno ai temi del vino e ai luoghi della sua produzione.
 
Oggi, non c’è architetto di fama al quale non sia stata commissionata la realizzazione di una nuova cantina per le grandi griffe dell’enologia italiana e mondiale, da Herzog & De Meuron a Mario Botta, da Renzo Piano ad Alvaro Siza, da Archea a Boris Podrecca, per non dire delle tante realizzazioni e dei tanti lavori in corso che, a partire dalla rinnovata attenzione alla produzione vitivinicola di qualità, segnano oramai diffusamente ogni angolo del territorio italiano.
 
Quasi sempre il progetto per una cantina tenta di stabilire un dialogo stretto con l’identità dei luoghi e del paesaggio che abita, oltre a definire spazi adeguati per la produzione e funzionali per la conservazione dei vini. Costruire una cantina, quindi, diventa l’occasione per restituire memoria ai luoghi ormai dimenticati di questo territorio, attraverso la ricostruzione di un frammento di storia.
 
L’idea è quella di ricreare l’immagine di una “vecchia via paesana, di quelle che ancora oggi si percorrono nella maggior parte dei borghi del Preappennino Dauno” ma, nello stesso momento, manipolarne il dato temporale, recuperando dal grande magazzino (definitivamente abbandonato) della tradizione artigiana, i materiali per la costruzione di una sorta di maschera contemporanea.
 
Una maschera contemporanea usata come metafora che esprime la relazione tra il materiale e la memoria, capace di ricostruire i codici simbolici dell’evocazione storica che rimandano il significato intimo della costruzione a ragioni altre dagli elementi che la compongono. Un gioco sapiente di simulazioni e dissimulazioni che, nella teatralità della finzione scenica (tutta dichiarata dalla struttura in cemento armato a vista), svela il piacere di una dimensione non più riproponibile se non come evocazione romantica.
 
All’interno di questo spazio, gli ospiti possono soddisfare la loro curiosità lungo la galleria paesana (ricostruita ad arte dagli artigiani del luogo e dalla pazienza ostinata del progettista), entrando ed uscendo, dagli ampi spazi che su questa si affacciano, come piccole piazze aperte sul corso principale, vere e proprie  stanze urbane ognuna dedicata al piacere ed alla educazione del gusto: dalle bottaie agli spazi per la degustazione, dalla sala per gli incontri alla cantina vera e propria e, al di sopra, la vigna come elemento e come materiale di copertura a protezione della sacralità dei luoghi di produzione e di conservazione del vino.
 
Una piacevole passeggiata, tra botti, bottiglie e scrigni segreti dove si custodiscono i frutti preziosi che questa terra produce, in un luogo rapito alla natura e sottratto alla storia. Una pagina strappata alla memoria collettiva e messa in scena nel teatro, troppo spesso distratto, della quotidianità contemporanea.
 
Le pietre utilizzate per la sua ri-costruzione sono state salvate all’incuria e all’abbandono degli uomini, scarti di una tradizione costruttiva ormai non più riproponibile se non attraverso la rappresentazione scenica di un tempo irrimediabilmente perduto ma incredibilmente vivo nell’immaginario collettivo di una comunità profondamente radicata nella sua identità.
 
La fortuna di un progetto, tuttavia, non è quasi mai la realizzazione diretta di un’idea di un singolo ma possiede sempre un anima plurale, un contributo corale di più soggetti come in questo caso: la committenza illuminata del principe Peppe Zullo ed il coinvolgimento critico del maestro d’arte Leon Marino, oltre alla magia di un paesaggio che già conteneva nel suo ventre la bellezza di uno spazio straordinario.
 
La cantina a pianta irregolare, si sviluppa seguendo l’andamento del terreno, nel sottosuolo, principalmente attraverso una galleria (largh.2.40 * 2.70 h) lunga settantacinque mt, per una superficie complessiva di circa 1000mq e per una volumetria di 2740 mc , dove dai due lati si diramano una serie di spazi di differenti dimensioni (sala degustazione , sala convegni di 70 posti , bottaia, magazzini ecc.).
 
La struttura è stata realizzata in C.A. la galleria e la sala degustazione di forma circolare sono gli unici ambienti illuminati in modo naturale attraverso dei lucernari. Internamente la pietra locale, come gli altri materiali utilizzati sono tutti in buona parte recuperati riciclati nella nuova costruzione. Al di sopra della cantina una copertura a vigneto, al quale si accede dall’interno della cantina attraverso una scala di collegamento.

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