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MOSTRA ARCHITETTURA

Talia Chetrit
Mostra personale
mostra  GALLERIA 10·CORSO·COMO, MILANO, dal 18/09/2024 al 17/11/2024
10·Corso·Como presenta la più ampia mostra personale sino a orari  dedicata al lavoro dell’artista statunitense Talia Chetrit.
Talia Chetrit fa un uso schietto eppure ricco di sfumature dell’obiettivo fotografico, attingendo alla storia della fotografia mentre solleva interrogativi intorno ai temi della sessualità, del potere, delle relazioni familiari e della rappresentazione del sé. Le sue immagini - tanto poetiche e provocatorie quanto attentamente elaborate - combinano l’intensità emotiva alle qualità compositive: sono un esercizio critico su cosa significa guardare e su cosa si prova nel mettersi in posa, un’indagine sulle implicazioni formali del gesto dell’inquadratura e sulle dinamiche psicologiche che ci emergono quando diventiamo il soggetto di quell’inquadratura.

Autoritratti, scene familiari, nature morte e fotografia di strada; nessun soggetto è escluso dalla pratica artistica di Chetrit, che si interroga sull’attuale validità dei “generi fotografici”, infondendovi il
candore della fragilità e uno sguardo sfrontato sui tabù.
In quest’occasione, l’artista riunisce opere realizzate nell’arco di trent’anni, dal 1994 al 2023, ponendo in dialogo tra loro immagini che rappresentano momenti differenti della sua ricerca artistica e della sua vita. Scatti recenti si affiancano a fotografie realizzate a metà degli anni Novanta - come Logo (1996/2017) e Face #1 (1994/2017) - in cui Chetrit, allora adolescente, ritrae le sue amiche d’infanzia. Qui i soggetti mostrano una profonda consapevolezza di essere osservati dall’obiettivo e, nonostante la giovane età, instaurano con la macchina fotografica
un dialogo estremamente intenzionale, attraverso gesti e posture presi in prestito dalle riviste di moda, dal cinema e dalla televisione. Un’altra opera degli esordi, Murder Picture #3 (1997/2017), raffigura un’amica dell’artista mentre posa come vittima di un omicidio in quello che sembra essere un vagone della metropolitana. C’è dell’audacia e della tenerezza in quest’immagine, che ci mostra le sperimentazioni giovanili di una ragazza appena quindicenne ma in grado di citare un’opera seminale come gli Untitled Film Stills (1977-1980) di Cindy Sherman mentre esplora la
fascinazione della nostra società per la violenza e il voyeurismo implicito nelle fotografie di cronaca nera.

Ricontestualizzare foto scattate quasi trent’anni fa - quando la fotografia era poco più che una passione amatoriale per l’artista - corrisponde al tentativo di “appiattire il tempo.” Se consideriamo il tempo come il materiale per eccellenza della fotografia, questo gesto assume un doppio significato: da una parte sottolinea come, in quanto esseri umani, noi esistiamo nel tempo; dall’altra evidenzia come manifestiamo i continui mutamenti delle nostre sensibilità attraverso forme storicamente determinate, come la moda.

Il precoce interesse di Chetrit per la rappresentazione e l’auto-espressione dei soggetti femminili prosegue e si consolida in opere successive come gli autoritratti Untitled (Body) del 2018 e Self-portrait (Mesh Layer) del 2019. Un misto di messa in scena, esibizionismo e auto-parodia contraddistingue questi scatti dalla natura inafferrabile, in cui l’artista espone il proprio corpo seminudo. Puntando l’obiettivo su di sé, Chetrit appare nelle sembianze di un mimo improvvisato o mentre posa come musa di se stessa. In queste opere, sospese tra intimità ed eccesso, coesistono auto-riflessione e commento sociale: più l’artista mostra il proprio corpo più acutamente sfida le forme tradizionali di rappresentazione della femminilità, incoraggiando chi guarda a mettere in
discussione la propria posizione e i preconcetti su come le donne esistono all’interno della produzione contemporanea di immagini.

Le relazioni famigliari hanno un ruolo centrale nella mostra, che include ritratti di ciascun membro della famiglia dell’artista: la madre - in opere come Mom (Ball) del 2022 e Ash (2021) -, il padre in Dad/Mesh (2021), il compagno e il figlio, che vediamo colti in scene anticonvenzionali - come in Untitled (Family #2) del 2021 - o ritratti individualmente, come in Cat Boot Baby (2021) e Back (2016). Con un’ironia a tratti corrosiva, Chetrit osserva alcuni degli stereotipi legati alle relazioni famigliari e fa emergere contraddizioni che permeano gli affetti fino alle radici. Anche nel caso di queste opere, gli abiti e le posture diventano gli strumenti per poter sfumare la distinzione tra maschile e femminile, tra protezione e autorità. Sebbene Chetrit abbia realizzato svariate campagne fotografiche per marchi di moda come Celine, Phoebe Philo e Acne Studio, è fondamentale osservare come, nei suoi scatti artistici, la moda emerga in filigrana, come uno dei tanti elementi che permettono all’artista di esplorare la formazione dell’identità individuale e delle convenzioni sociali.

Le immagini di Talia Chetrit occupano uno spazio e un tempo difficili da definire: possiedono l’immediatezza di un’istantanea e la qualità un po’ sbiadita di un momento di vita fissato sulla pellicola, eppure di fronte ad esse abbiamo la sensazione di qualcosa che è stato attentamente pianificato, di una tensione verso gli aspetti compositivi e narrativi delle immagini, che l’artista esalta attraverso una precisa coreografia di pose e accessori.

Quella di Chetrit è un’arte della vicinanza estrema e di un’altrettanto radicale distanza. Accanto a fotografie che sono tanto intime quanto provocatorie troviamo anche vedute urbane realizzate attraverso l’uso di un obiettivo telescopico: qui i soggetti, ritratti da lontano, sono anonimi e sfocati mentre l’artista - contrariamente a quanto accade con il resto della sua opera - non mostra alcuna connessione emotiva con lo svolgersi degli eventi, che osserva a distanza.

All’interno di questa gamma di sentimenti che spaziano dall’intimità al distacco, troviamo infine le nature morte, composizioni in cui gli oggetti sono investiti di una sorta di tensione psicologica. Il drammatico gioco di luci e ombre in un’opera come Angels (1995-2022) insinua l’idea stereotipata dell’amore romantico come terreno di attrazione e conflitto, come pure Rubber Nipple (2021) evoca il tema della genitorialità al di là di certe semplificazioni: in questa immagine la tettarella, cui il titolo fa riferimento, diventa una presenza misteriosa, un oggetto luminescente immerso nel buio. L’atmosfera malinconica di Studio Chair (2018), infine, suggerisce il legame tra seduzione, abbandono e assenza.

Come la vita contemporanea - o la vita in sé e per sé - l’arte di Talia Chetrit può apparire a volte sconcertante: comunica onestà eppure contempla l’inganno, si addentra nei sentimenti mentre ne analizza le contraddizioni. Ciascuna di queste opere ci invita a riflettere sulla natura sfaccettata delle relazioni umane e sui modi in cui i rapporti sono plasmati, omologati e perpetuati attraverso il dominio della rappresentazione.
 
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