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15/09/2006 – “Mi sembra quasi di sentire riecheggiare un grido dietro questa mostra: “Riprendiamoci la città”. La città è stata presa dagli affaristi e dai trafficanti. Perché non proviamo a riprendercela un po’ di più noi architetti?” È l’invito che Renzo Piano rivolge ai professionisti al fine di dare una risposta al problema della mancanza di distribuzione nelle grandi città.
Divario tra ricchi e poveri nello sviluppo delle città e ruolo che l’architetto può svolgere per una possibile soluzione è stato l’argomento chiave della conversazione tra Renzo Piano, Richard Rogers e Richard Burdett, coordinata da Bernardo Secchi, con cui si è chiuso il ciclo “Architetti e città, conversazioni” della 10. Mostra Internazionale di Architettura a Venezia.
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Secchi ha aperto la discussione sollevando la questione della notevole crescita nelle città, sia europee che dell’est asiatico, della distanza tra ricchi e poveri. Ha quindi invitato i suoi interlocutori ad intervenire sul possibile ruolo di urbanisti e architetti per una diminuzione di tale divario.
Piano e Rogers ritengono necessario un processo di densificazione, per una città più compatta.
Rogers denuncia il fenomeno dell’abbandono delle città da parte dei più abbienti, che possono premettersi una villa in campagna, contrariamente ai poveri che sono invece costretti a restare in città. “La città – sottolinea Rogers – deve essere per tutti. Si deve costruire sul terreno ex industriale, perché altrimenti la città si svuota. La densità e gli spazi pubblici sono importanti per poter avere gli occhi sulla città senza scappare. Si può fare una città compatta con ricchi e poveri”.
E porta l’esempio di Londra, dove si costruiscono complessi residenziali che sono destinati per il 75% al sociale.
La soluzione che l’architetto può offrire al problema della mancanza di distribuzione consisterebbe dunque nel battersi per una città più compatta. Ed è di questo avviso anche Piano, il quale ritiene necessario un sistema decisionale più democratico, che restituisca la città a tutti: “Quando costruisci un edificio culturale, una biblioteca, lo costruisci potenzialmente per tutti. Ma quando costruisci un frammento di città non è così”.
In realtà – sottolinea l’architetto italiano - l’incapacità di gestire il problema del divario tra ricchi e poveri è solo apparente. In Inghilterra c’è una regola: ogni progetto residenziale è pensato in maniera che al 50% sia dato in affitto a cifre moderate proprio per non creare questo forte divario. In questo senso si riprende la città.
Piano introduce inoltre un elemento in più, invitando a riflettere sul problema delle periferie. A suo avviso il vero problema nelle nostre città, più che nella differenza tra ricchi e poveri, si riscontra nel divario tra centro e periferie, che egli ritiene sia il grande tema dei prossimi trent’anni.
“Lo struggimento – commenta Piano - è la sensazione più forte. Bisogna accettare che la crescita delle città è un processo non esplosivo, bensì implosivo, di completamento. Bisogna smettere di far crescere le città a macchia d’olio. La nostra città è fata di strati. L’idea dei terreni industriali è un’idea intelligente; nella città si deve costruire sul costruito. Dev’essere una città più compatta e densificata. Se la periferia continua ad essere periferia, rimarrà povera. I centri storici finiranno per diventare shopping center accessibili solo ai ricchi”.
Richard Burdett ha sollevato invece la questione del trasporto pubblico, che egli definisce una “forma di giustizia sociale”. E anche questa volta viene citata Londra come esempio modello: invece di investire in forme di trasporto underground, Londra investe nei filobus.
In Italia – nota Rogers –la questione dei parcheggi è un vero paradosso. Ed è quanto accade a Milano, dove esistono sistemi sotterranei per 2000 posti auto. Sarebbe piuttosto necessario rafforzare il trasporto pubblico.
“L’architetto è un politico – conclude Rogers - deve avere la forza di dire: rimaniamo in città”.
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