Intitolata Out There: Architecture Beyond Building e in programma dal 14 settembre al 23 novembre, l’edizione 2008 della Mostra è diretta da Aaron Betsky. Formatosi tra Olanda e Stati Uniti, Betsky porta alla Biennale di Venezia una ricca esperienza curatoriale, storica e critica: direttore dal 2001 al 2006 del Netherlands Architecture Institute (NAI) di Rotterdam, è dal 2006 direttore del Cincinnati Art Museum. Ha inoltre curato per le ultime tre edizioni della Biennale di Venezia il padiglione olandese, che nel 2002 ha ottenuto il Leone d’oro per il miglior Padiglione straniero.
Non sono mancate le polemiche sul titolo scelto da Betsky per la mostra, la cui traduzione italiana (Là fuori: architettura oltre l’edificio), lascia spazio a molteplici interpretazioni. Architettura oltre l’edificio, oppure architettura oltre il costruire? E quale significato attribuirvi?
Un interrogativo cui Betsky risponde così: “l’architettura non è ‘il costruire’. Gli edifici sono oggetti, e l’atto del costruire produce gli oggetti-edifici, ma l’architettura è qualcosa d’altro. È il modo di pensare e di parlare sugli edifici. È il modo di rappresentarli, di realizzarli: questo è architettura. Più in generale, l’architettura è un modo di rappresentare, dare forma e forse anche offrire alternative critiche all’ambiente umano. Infatti, gli edifici non sono abbastanza: sono la tomba dell’architettura, ciò che resta di quel desiderio di costruirci un altro mondo, un mondo migliore e aperto ad altre possibilità oltre il quotidiano”.
Oggi, denuncia il curatore della Biennale, gli edifici sono troppo costosi e la loro realizzazione, definita da regole finanziarie, costruttive, normative e di apparenza, comporta tempi lunghissimi che portano come risultato finale qualcosa che nella maggior parte dei casi ha poco a che fare con l’architettura. Consacrare la morte dell’edificio significa allora per Betsky incoraggiare una architettura che ci faccia sentire a casa nel mondo; pronta ad affrontare i temi centrali del nostro mondo e della nostra società, e a sperimentare nella e sulla realtà evidenziando e articolando nuovi problemi, piuttosto che risolverli.
La Biennale di quest’anno intenderebbe dunque invitare alla riflessione ed incoraggiare l’immaginazione; vedere se l’architettura, attraverso la ricostruzione, la decostruzione e la deformazione, possa offrire forme concrete e immagini seduttive.
Spigoloso il commento di Vittorio Gregotti alle parole di Betsky: “È vero, ci serve una architettura che interroghi sulla realtà, ma che sappia anche assumere una distanza critica da essa. E per far questo non vanno proprio incoraggiate quelle visioni effimere che quasi sempre non sono affatto oggi prove tangibili di un mondo migliore, ma consolazioni puramente seduttive intorno allo stato delle cose e riduzione delle pratiche della arti a pura comunicazione”.
Qualcun altro avrebbe giudicato più utile dedicare l’edizione 2008 della Biennale a temi che, piuttosto che andare “oltre il costruito”, affrontassero la questione dei grattacieli e dei problemi di sicurezza a questi legati, del rapporto con l’ambiente, dei nuovi materiali, dell’edilizia popolare o degli spazi multietnici.
E, se per Betsky gli edifici sono morti, il Padiglione italiano pone al centro della sfida proprio il costruito. I due approcci, in apparenza antitetici e pertanto incompatibili all’interno di una stessa rassegna, possono risultare in realtà complementari.
A cura dell’architetto Francesco Garofalo, lo spazio italiano propone il tema “L’Italia cerca casa / housing Italy” con l’obiettivo di fornire a istituzioni e committenti dei modelli per la riflessione. L’interessante visione della casa con progetti di sviluppo che riguardano tessuti urbani esistenti, recupero di aree edificabili con costi sostenibili e alta qualità progettuale sembrerebbe avere il merito di suggerire una prima risposta all’invito di Betsky a ragionare sui problemi.
In epoca di “bolla immobiliare” e di instabilità globale innescata dalla crisi americana dei mutui subprime, Garofalo pone il tema dell’abitare come “questione operativa centrale della nostra cultura architettonica”, raccontata tra passato, presente e futuro in una mostra innovativa con videoclip, mappe, progetti e installazioni: dagli alloggi popolari degli anni ‘30 al “piano casa” degli anni ‘80, dal boom edilizio al trading immobiliare, dal caro affitti ai mutui facili degli anni ’90, fino alla “casa possibile”per il XXI secolo.
“L’Italia cerca casa – spiega Garofalo – mette alla prova la cultura architettonica italiana nella sfida posta dalla domanda di abitazioni di qualità e a costi accessibili. La fine dell’edilizia popolare, la crisi del mercato dei mutui, le situazioni di disagio urbano e le domande di nuovi utenti hanno spinto in primo piano la questione nel dibattito pubblico.
Oggi che tutti nelle istituzioni si impegnano a investire sugli alloggi, occorre chiedersi con quali programmi e con quali progetti è possibile rispondere. Dal revival della casa per tutti, il padiglione italiano intende passare alla proposta della casa per ciascuno”.
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