16/09/2008 – “Una architettura delle alternative, non di edifici morti prima di nascere”. È questo secondo Aaron Betsky il senso da attribuire al tema da lui scelto per l’11. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia dal titolo “Out There: Architecture Beyond Building”, che da domenica 14 settembre ha ufficialmente aperto le porte al pubblico.
Nell’edizione 2008 della Biennale di Venezia l’architettura diventa metarchitettura, riflessione sull’organizzazione dei luoghi che viviamo, sperimentazione e immaginazione.
“La Biennale – spiega Betsky in occasione della presentazione ufficiale della mostra – non presenta soluzioni, bensì mattoncini che devono far riflettere, e che disturbano”.
Secondo il presidente Paolo Baratta la Biennale 2008 si fa portavoce di un invito a “riappropriarsi dello spazio vissuto e a essere noi stessi capaci di visioni, e quindi di esprimere il bisogno di architettura nella realtà che ci circonda, come individui, gruppi o società civile”.
E l’invito sembra esser stato colto alla perfezione dai diversi partecipanti alla 11. Mostra che hanno celebrato con le loro opere proprio quell’incontro tra visione e realtà auspicato dal curatore Betsky: installazioni, videoproiezioni ed interazioni che decostruiscono i limiti fisici diventando testimonianza della capacità visionaria dell’architetto e della possibilità di una architettura che richiami alla vita dell’uomo e agli spazi che questi abita.
“Oltre il costruire” c’è dunque il non costruito e il decostruito, la fantasia, il plastico che lascia spazio al sogno, l’invenzione ludica e la sperimentazione; l’interazione tra l’architettura e l’uomo, l’ambiente, il cibo, gli oggetti, e tutto ciò con cui si interagisce nella quotidianità.
Anche le cosiddette “archistar” sono state invitate a questo esercizio di immaginazione e sperimentazione.
Zaha Hadid propone Lotus, una architettura che rappresenta al tempo stesso un mobile che si dispiega e una casa. Lotus include una scrivania mobile con schermo e sedia, un letto, scaffali, un guardaroba che funge anche da divisorio per la stanza, e un tavolino da caffè. La singolare struttura crea una relazione tra questi elementi funzionali al punto che risulta messa in discussione la necessità dello stesso involucro esterno degli edifici. L’interno non è più indipendente dall’architettura, risultando piuttosto adattabile a vari livelli di impercettibilità. Lo spazio oscilla tra un ordine che svela e uno che nasconde.
Lo studio Coop Himmelb(l)au ha realizzato Feed Back Space, un “cervello” gigante, gonfiabile e trasparente che invita il visitatore ad entrare, afferrare le maniglie e quindi guardare il battito del suo stesso cuore comparire su enormi schermi mentre la pressione corporea si materializza muovendosi vorticosa su altri schermi LED. Si tratta di un esperimento in cui la stanza cessa di avere confini precisi, mentre la tecnologia diventa modello per lo sviluppo urbano nella misura in cui ci consente di cambiare il nostro ambiente: alla fine “la città pulsa come un cuore”.
Massimiliano e Doriana Fuksas propongono l’installazione dal titolo ‘kensington gardens’: tre enormi strutture rivestite in plastica color verde acido all’interno delle quali non è possibile entrare; il visitatore può spiare il segreto spazio all’interno attraverso delle aperture, che si presentano come piccole pareti nere che svelano scene di vita quotidiana.
Frank Gehry, premiato con il Leone d’Oro alla carriera, ha scelto di presentare un lavoro in progress, un albergo in costruzione a Mosca, attraverso un modello in grande scala (1: 25 rispetto all’edificio reale da realizzare). Degli operai applicano argilla sulle superfici del modello, sostenuto da una armatura egg-crate (in forma di scatola per uova) riprodotta mediante una struttura di travi 30X30 cm, che definisce le geometrie della facciata. L’applicazione dell’argilla avverrà per tutta la durata della fiera, consentendo ai visitatori di osservare il lavoro in progress.
L’architettura sperimentale protagonista della Biennale di Betsky “mostra gli apocalittici esiti del nostro sistema socioeconomico e ci mette in guardia sulle conseguenze dell’uso della tecnologia. Lo fa estrapolando dalla logica della stessa tecnologia le immagini oggi prodotte, e presentandoci lo sviluppo di forme non impastoiate da alcun vincolo con la realtà abitabile, ma svelandoci ciò che potrebbe alterare profondamente quella realtà”.
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