30/09/2008 – Sono un architetto “scapigliato” e un professore emerito dell’Università di Tokio a rappresentare quest’anno il Giappone alla 11ª Biennale di Venezia.
Il primo, Junya Ishigami, ha lavorato per lo studio SANAA, ed è ben noto per i suoi avanguardistici progetti-installazione, al confine tra arte e architettura. Il secondo, Hideaki Ohba, è nato a Tokyo nel 1943, ed ha condotto ricerche in area botanica praticamente in tutto il mondo, dall’Himalaya al Deserto del Sahara.
Il lavoro coordinato dei due ha messo in luce alcune delle attuali tendenze speculative nell’architettura d’avanguardia giapponese. Anzitutto Ishigami ha scelto di ricorrere ad un “metodo alternativo” per presentare i suoi progetti. Bypassando le modalità espositive più tradizionali, dove i progetti vengono riprodotti attraverso modelli, immagini e disegni, l’architetto ha presentato i suoi lavori in scala 1:1.
Si tratta di piccole serre dalle pareti in vetro che circondano tutto il padiglione Giappone. La scelta di un volume di tal fatta non è una casualità: in omaggio al Crystal Palace, prima sede dell’Esposizione Internazionale, ed alla portata rivoluzionaria dei lavori che in esso erano esposti, Ishigami ha scelto di progettare delle serre in vetro. “Per pensare all’architettura del futuro è necessario guardare indietro”, ha asserito l’architetto.
Il lavoro di Ishigami è decisamente metafisico e rimarca la necessità di superare il tradizionale modo d’intendere come sinonimi, o quasi, i concetti di “costruzione” ed “architettura”. Il progettista gioca sull’idea di pieno e vuoto, interno ed esterno, interiore ed esteriore, reale ed apparente e su quanto possano essere labili i confini tra gli opposti.
Per fare questo, il progettista ha stabilito delle particolari condizioni. Anzitutto nel padiglione non ci sono barriere fisiche o sbalzi climatici che possano in qualche modo differenziare l’interno dall’esterno della mostra, evitando così che le sale vengano immediatamente percepite come “ambiente artificiale”.
La precarietà del confine “dentro-fuori”genera un’ambigua miscela di elementi ambientali, ulteriormente amplificata dalla varietà di vita vegetale presente nelle serre, accuratamente selezionata da Hideaki Ohba, che differisce da quella già presente attorno al padiglione e che, proprio per questo, genera un leggero disturbo nella percezione del paesaggio del parco.
Il risultato finale è che, paradossalmente, lo spazio interno alle serre, con il loro volume trasparente, come “pieno d’aria”, è avvertito dal visitatore a mò di spazio esterno, al contempo lo spazio esterno appare come “paesaggio interiore”, mentre l'interno del Padiglione, quasi vuoto, mette a nudo la struttura originaria dell’area espositiva.
Uno spazio doppio, ibrido, emozionale ed ossimorico, dove gli opposti coesistono. Questi i presupposti dell’architettura del futuro secondo il Giappone alla Biennale 2008.
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