10/09/2008 - Perché i cittadini britannici vogliono a tutti i costi essere proprietari della casa in cui risiedono? Quali possono essere gli effetti del lungo predominio degli operatori privati sul settore edilizio del Regno Unito? Questi gli interrogativi attorno a cui si muoveranno i lavori presentati in “Home/Away: Five British Architects Build Housing in Europe”, esposizioneorganizzata all’interno del Padiglione Gran Bretagna all’11ª Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia.
Ellis Woodman, curatore della mostra, racconta con queste parole la crisi dell’edilizia abitativa che attraversa il Regno Unito da ormai tre decadi: “La cultura dello sviluppo edilizio guidato essenzialmente dal mercato che si è sviluppata in G.B. negli ultimi trent’anni è in netto contrasto con quella dell’Europa continentale. Le dimensioni medie di un immobile di nuova costruzione in Gran Bretagna sono inferiori rispetto a qualsiasi altro paese d’Europa mentre i prezzi medi delle case a Londra sono più alti che in qualsiasi capitale europea, escluso il Principato di Monaco. La Gran Bretagna si trova in effetti di fronte a una crisi degli alloggi tra le più gravi in Europa: è stato calcolato che entro il 2022 ci sarà un deficit di oltre un milione di case a meno che i livelli della produzione attuale non crescano in maniera rilevante”.
Sergison Bates, Witherford Watson Mann, Marsh Morgan de Rijke, Tony Fretton e Maccreanor Lavington: così si compone il quintetto di architetti contemporanei (tutti figli del gap generazionale scatenato dalla fine del programma britannico di ricostruzione postbellica negli anni Settanta) messosi all’opera nel tentativo di raccontare la scottante problematica dell’edilizia per la casa “made in G.B.” e d’ individuare nuove soluzioni per alloggi moderni rispondenti alle esigenze sorte dalla delicata congiuntura che attraversa il mercato d’oltre Manica.
Al contempo, sostiene Woodman, l’internazionalità della committenza rivoltasi al citatato gruppo di architetti (Sergison Bates è al lavoro in Svizzera, Witherford Watson Mann in Belgio, de Rijke Marsh Morgan in Norvegia, Tony Fretton in Danimarca e Maccreanor Lavington nei Paesi Bassi) “indica che, nonostante tutte le difficoltà della situazione britannica, è ancora possibile offrire spunti interessanti ad altri paesi”. L’esposizione proporrà, pertanto, esempi di lavori ideati dai partecipanti sia in Gran Bretagna che all’estero, offrendo la possibilità di analizzare le “differenze culturali in gioco” nella progettazione.
Se il movimento della “città giardino” - di cui furono sostenitori urbanisti “progressisti” come Raymond Unwin e Barry Parker - ha segnato le scelte stilistiche dell’architettura europea dei primi del Novecento, facendo del Regno Unito un paese all’avanguardia nella concezione dell’edilizia abitativa, Home/Away si propone di effettuare una vera e propria comparazione tra questa eredità ed i nuovi progetti ideati dal selezionato quintetto.
Ma non finisce qui: sabato 13 settembre, a partire dalle 10,30, presso il Padiglione Gran Bretagna avrà luogo “How Lovely is Thy Dwelling: Building Homes in the 21st Century”, dibattito programmatico sullo stato dell’edilizia abitativa del Regno Unito nel ventunesimo secolo a cura di Irénée Scalbert. Interverranno, oltre ai cinque progettisti espositori, il celebre architetto e urbanista Denise Scott Brown e John Callcutt, autore della Callcutt Review, una recensione sulla fornitura di alloggi pubblicata nel 2007 e finanziata dal governo.
“È un’opportunità rara – si legge nel comunicato diffuso dal British Council - per sentire la Scott Brown applicare le sue ricerche sull’edilizia abitativa al contesto europeo contemporaneo, in particolare la sua determinante polemica degli anni Settanta sulla casa americana, Learning from Levittown. Citando le proprie esperienze in Sudafrica, nel Regno Unito e negli USA, la Scott Brown osserva che gli architetti dovrebbero studiare i quartieri residenziali suburbani per capire quali siano i fattori in gioco nella costruzione di alloggi. Poiché l’edilizia abitativa è diventata la vittima dell’economia degli alloggi e della politica, ‘una profonda attenzione nel creare alloggi popolari porterà gli architetti fuori dall’architettura e dentro l’azione economica e politica: diventeranno ‘disegnatori di alloggi’’.
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