05/08/2013 – Lo studio TAMassociati è nato a Venezia dall'idea di Massimo Lepore, Raul Pantaleo e Simone Sfriso di creare un progetto collettivo che unisse professionisti nei campi dell'architettura, urbanistica e comunicazione sociale, attenendosi ai principi di una progettazione etica e responsabile.
Questo proposito si è tradotto in numerose collaborazioni con l'associazione Emergency, che hanno portato lo studio ad essere insignito della Menzione d'onore nella categoria “Architecture for Emergency” per la Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana 2012 alla Triennale di Milano.
Il vostro studio da sempre si è occupato di progetti fortemente coinvolti nell’ambito sociale, qual è secondo voi il ruolo dell’architetto all’interno della società contemporanea?
Il progetto architettonico produce una trasformazione continua dello spazio fisico, ma agisce contemporaneamente anche sulla dimensione simbolica che tutti noi associamo, spesso inconsciamente, agli spazi e alle cose che ci circondano. Il progetto costituisce quindi un'occasione collettiva per riflettere su prospettive e valori condivisi, un'opportunità da utilizzare per porre all'interno di una comunità domande centrali e strategiche: l'uso delle risorse, l'assetto del territorio, la gestione comune di spazi e opportunità. L'architetto è dunque strumento di un processo complesso: deve sviluppare capacità di lettura e ascolto, deve mettere in pratica idee per rispondere a problemi nuovi, deve essere parte di una trasformazione intellegibile.
Quale progetto ha rappresentato per voi la sfida più ardua come progettisti?
Ogni progetto è per noi un' occasione per riflettere su ruolo "civico" del nostro mestiere, immaginando l'architettura come una parte importante del cosiddetto "bene comune". In ogni progetto la sfida ha preso forme e intensità diverse. Per questo motivo è difficile dire quale sia stato il progetto più arduo. Paradossalmente, se si considera la componente etica, è molto più facile sviluppare un progetto sociale in un contesto di necessità (ad esempio in un paese in guerra come il Darfur), piuttosto che tenere saldi i propri obbiettivi "civili" nel progetto per un nuovo insediamento produttivo.
Mai come nella Biennale 2013-Common Ground, anche grandi architetti del calibro di Norman Foster, si sono interrogati su temi quali le comunità informali, autocostruzione e “architettura povera”.
Quale pensiate possa essere la direzione che prenderà l’architettura soprattutto in questo periodo di recessione economica?
L'architettura di oggi annaspa in un vuoto di significato, in cui protagonista è, sempre più, la spettacolarizzazione e monetizzazione della realtà, dove pochi e selezionati architetti, più simili a divi dello spettacolo, sono visti - con la compiacenza dell'informazione - come i veri protagonisti di quello spettacolo che è diventata oggi l'architettura.
Moda effimera e superficiale, accessorio, abbellimento; che ci ha reso tutti spettatori di una modernità in divenire e non i protagonisti ed utilizzatori quotidiani delle città e delle architetture che le popolano.
Per noi, invece, è importante re-inventare un'architettura civile capace di ritrovare nelle proprie consuetudini progettuali etica e creatività, diritti ed innovazione, bellezza e futuro, partecipazione e consapevolezza. Solo così potrà tornare ad essere momento collettivo che riporti al centro del discorso un noi corale dove l'architettura possa essere mezzo e non fine, o forse solo tornare ad essere “un bene comune”. Perché l'architettura è azione necessaria, crea le pre-condizioni alla nostra esistenza, atto definitivo che modificherà per sempre la storia e le persone che vivranno in quel pezzo di mondo che andrà ad occupare. Esserne autori è privilegio ed allo stesso tempo responsabilità.
Non ammette repliche o migliorie; non si cancella o attutisce abbassando il volume o voltando pagina, nemmeno girandosi dall'altra parte. Accompagnerà qualche generazione, riguarda la collettività, che sia: casa, piazza, ospedale, città, parco. Proprio per questo ci riguarda, riguarda tutti, perché coinvolge tutti, la vediamo, camminiamo, respiriamo, saliamo, viviamo. Troppo spesso la subiamo, non lo possiamo ignorare.
Dopo la scorpacciata di gigantismo degli ultimi vent'anni, oggi si subisce il fascino dei progetti alla piccola scala per il bene comune; un'apparente ritorno all'etica. La domanda sorge spontanea: l'etica saprà resistere al sistema del consumo?
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