13/12/2017 - L’ebraismo si apre ai non Ebrei. Succede a Ferrara, con un museo nazionale dedicato alla storia e alla vita ebraica, a partire dall’esperienza tutta singolare degli Ebrei italiani, da ventidue secoli parte integrante del tessuto del Paese. Sarà inaugurato domani il MEIS - Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah.
Recita il comunicato ufficiale del Museo: “A cosa serve un museo nazionale dell’ebraismo italiano? A parlare soprattutto di oggi: del dialogo tra culture, del contributo delle minoranze, della ricchezza di identità plurime, della bellezza di conoscere un mondo diverso che vive, però, dentro il nostro, abbracciato al nostro.
Il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah - MEIS inaugura con un percorso espositivo dal titolo “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni” e lo fa a Ferrara, non a caso. Bisognava, infatti, partire dalle premesse di questa storia e cominciare a svelare al pubblico le origini dell’ebraismo italiano, vicenda sorprendente e ai più sconosciuta. Il Museo offre così al visitatore un viaggio nei primi mille anni dell’Italia ebraica attraverso un racconto significativo, curato da Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla, con l’allestimento dello studio GTRF di Brescia.
A scandirlo sono oltre duecento oggetti preziosi, fra i quali venti manoscritti, sette incunaboli e cinquecentine, diciotto documenti medievali, quarantanove epigrafi di età romana e medievale, e centoventuno tra anelli, sigilli, monete, lucerne e amuleti, poco noti o mai esposti prima, provenienti dai musei di tutto il mondo (dalla Genizah del Cairo al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dai Musei Vaticani alla Bodleian Library di Oxford, dal Jewish Theological Seminary di New York alla Cambridge University Library).
Una tripla inaugurazione, quella di domani: ad aprire saranno, infatti, la mostra “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni”, che del Museo costituisce, dal punto di vista scientifico ed espositivo, la prima grande sezione; lo spettacolo multimediale “Con gli occhi degli Ebrei italiani”, che rappresenta l’introduzione permanente ai temi del MEIS; il grande edificio restaurato di Via Piangipane, nel centro storico di Ferrara, che fino al 1992 ospitava le carceri cittadine, luogo di reclusione ed esclusione per eccellenza, e che ora torna a vivere come spazio aperto e inclusivo”.
Quest'ultimo porta la firma dello studio SCAPE di Ludovica Di Falco che spiega così la genesi del suo progetto: “Il progetto del MEIS ci ha posto di fronte ad un luogo, ad un paesaggio inteso nel senso più esteso del termine, complesso ed eterogeneo. Un museo, ma anche un luogo della memoria, parte della città, delle coscienze, della coscienza collettiva: un monumento.
Un progetto di molteplici paesaggi, di nature eterogenee, quali lo scenario urbano della darsena ed il quartiere che ne deriva a sud ovest del castello estense, l’ex carcere luogo sospeso ed interrotto, il rapporto imprescindibile della città di Ferrara con la cultura ebraica, il paesaggio delle memorie che attraversano e si intrecciano in un luogo così articolato. Un insieme di tracce, di segni, fisici ed intangibili, ordinati e significati attraverso il progetto architettonico. Progetto che nasce da un lavoro sostanziale sulla preesistenza, contribuendo a quella naturale stratificazione di tracce, di segni, di sedimenti che da sempre hanno costruito le città italiane nella loro naturale evoluzione. Come Giano bifronte l’identità del pensiero di questo progetto si costruisce sul duplice sguardo, rivolto contemporaneamente al passato e sul futuro.
Un atto critico seleziona gli elementi salienti su cui impiantare le nuove funzioni del museo: l’orientamento, la giacitura dei segni, la misura e la scala urbana, il recinto, interrotto per aprire il luogo alla città.
L’apparato murario, fondamento tipologico dell’ex carcere, diviene infatti luogo da cui rigenerare il rapporto con la città modificando, la chiusura in apertura, la distanza in prossimità. Il museo dell’ebraismo italiano sarà un museo della città, un museo per la città, un luogo aperto: alcune parti saranno accessibili liberamente, come la hall di ingresso, il bookshop, i ristoranti, una parte delle esposizioni temporanee, il giardino, luogo immaginario “ al di là del muro”, in continuità con i giardini ferraresi, dall’ addizione erculea di Corso Ercole I d’Este, fino al Giardino dei Finzi Contini.
Volumetricamente i 5 elementi in sequenza, richiamano in modo simbolico i 5 capitoli della torah, il Pentateuco, divenendo al tempo stesso contenitore ma anche contenuto: il libro è metafora della conoscenza e della ragione. Passi salienti della torah, che potranno essere selezionati con la comunità ebraica, saranno iscritti in bassorilievo sulle pareti del museo, regolandone l’intensità della luce all’interno: brise-soleil sul volume di ingresso più trasparente e permeabile verso al città, cavità nella parte espositiva. I volumi dedicati alla parte espositiva, sono stati concepiti come spazi neutri ininterferenti con gli elementi in mostra: come all’interno di una torre scenica una serie di quinte mobili possono determinare molteplici configurazioni, generando possibilità mutevoli di uso dello spazio.
La luce in tutti gli ambienti sarà zenitale indiretta e diffusa: sui bordi delle sale espositive , attraverso delle aperture verticali, la città entra a far parte della costruzione dello spazio interno in modo sostanziale. La cultura e la memoria sono elementi in continua evoluzione, interpretazione e mutazione, caratteristiche di cui il contenuto espositivo deve contaminarsi: l’allestimento sarà interattivo e digitale, fatto di immagini continuamente da aggiornare, adattare alla sensibilità del visitatore e al tempo. Fare un progetto multimediale per un museo cosi ricco di memoria storica e di riferimenti iconografici implica un utilizzo complesso delle potenzialità del mezzo video. da un lato si tratta di rendere fruibile il materiale storico ed iconografico nel modo più funzionale possibile, dall’altro di immergere lo spettatore in una dimensione altra, legata alle immagini in movimento. Entreranno a far parte del progetto di allestimento anche tutte quelle interfacce naturali esistenti disegnate dalla nuova frontiera dell’interattività; gli ambienti architettonici possono essere tematizzati, scenografati da grandi immagini video costruiti alla loro misura. Questo museo non sarà solo raccolta di oggetti anche bellissimi, ma strumento e luogo per comunicare significati idee, memorie, incubatore di nuova cultura comune”.
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