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09/03/2018 - Nel corso del Novecento, non soltanto stilisti, ma anche artisti e architetti hanno dedicato attenzione al tema dell’abito, disegnando o realizzando lavori che talvolta possono considerarsi oggetti d’arte, talvolta ‘manifesti’ di interesse sociale e antropologico e, a volte, non possono nemmeno essere indossati.
Conversando con lo storico e critico d'arte d'origine pugliese, Lia De Venere, ripercorriamo una storia ricchissima e controversa, attraverso i momenti più salienti, intrisi di contaminazioni fra architettura, moda, design e arti visive.
Come si racconta il legame profondo fra architettura, moda e arti visive, dal futursimo ad oggi, in 10 esempi significativi?
Giacomo Balla, artista a tutto tondo, che già nei primi anni 10 si dedicò allo studio di abiti e stoffe e nel manifesto “Il vestito antineutrale” (1914) enunciò i canoni dell’abbigliamento futurista maschile ma anche femminile;
Thayaht, il futurista che nel 1919 inventò la tuta, un indumento nato come “popolare” e divenuto invece una sorta di divisa delle serate di gala dell’aristocrazia fiorentina;
Sonia Delaunay, un’artista che, affiancò suo marito nelle ricerche sul colore e sulla rifrazione della luce e ideò abiti di grande eleganza, in cui tinte e tessuti diversi convivevano in esemplare unità;
Piero Gilardi, che nei Vestiti natura, realizzati con poliuretano espanso, lascia trasparire il suo sincero interesse per i temi della sostenibilità ambientale e per le conseguenze dello sviluppo tecnologico;
Jana Sterbak, i cui abiti-sculture, oggetti a volte piuttosto pericolosi, costituiscono un’intensa riflessione sul tema del potere e sui pesanti condizionamenti che il genere femminile subisce da sempre;
Enrica Borghi, autrice di abiti fastosi realizzati con bottiglie di acqua minerale e sacchetti per la spesa, che costituiscono un invito rivolto ad adulti e bambini ad adoperarsi per la tutela dell’ambiente;
Caterina Crepax, un architetto che confeziona straordinari abiti di grande fascino con carta di ogni genere – scontrini fiscali, scarti di tipografia, documenti triturati, ecc. – invitando al riciclo dei materiali;
Jorge e Lucy Orta, autori di azioni contro l’esclusione attraverso abiti-rifugio, da indossare in situazioni avverse emergenziali, in cui si coniugano body art, moda, teatro di strada e attivismo sociale;
Yinka Shonibare, che realizza abiti di foggia occidentale ispirati a dipinti dei secoli XXVIII e XIX, usando stoffe batik, divenute simbolo dell’identità nazionale di paesi africani come la Nigeria, suo paese di origine;
Zaha Hadid, l’archistar che ha disegnato per un’azienda brasiliana delle scarpe in plastica in diversi colori, le cui linee sinuose richiamano quelle delle sue straordinarie architetture, pur quasi certamente non giovando alla salute di chi le indossa.
Ovviamente, la lista è passibile di numerose aggiunte.
Se dovessi scegliere una creazione del passato quale nomineresti e perché?
Scelta difficile, certamente. Mi piacerebbe possedere un abito da sera anni ‘30 di Madeleine Vionnet, in cui in maniera esemplare convivevano raffinatezza e leggerezza, una creazione di Franco Moschino, che in diversi casi ha condotto un’acuta e a volte caustica riflessione sul sistema della moda, un capo della collezione Mondrian di Yves Saint-Laurent, perché su Saint-Laurent non si discute e su Mondrian ancora meno! Ma, se mi ci fai pensare ancora un po’,…la lista si allunga!
Quanto e in quali modalità moda, arte visiva, design si influenzano reciprocamente ancora oggi?
Sono mondi in stretta connessione che si influenzano continuamente, come dimostrano le collezioni di diversi stilisti, molti dei quali si sono formati come artisti o designer e che spesso si ispirano – ovviamente in maniera personale – a opere d’arte e oggetti di design.
Un esempio è Antonio Marras, stilista sardo, il quale sia con l’artigianato della sua terra sia con l’arte ha un rapporto continuo e strutturato. Ad Alghero ha organizzato una mostra di Maria Lai, straordinaria artista sarda, e quelle di Claudia Losi e Carol Rama. E ha lanciato qualche anno fa una linea di mobili in cui sono riutilizzati materiali, stoffe e oggetti, come accade nei i suoi abiti. Non solo, ha disegnato costumi per il teatro e ideato il fantastico allestimento della grande mostra che la Triennale gli ha dedicato nel 2016, in cui grandi installazioni, dipinti, disegni, schizzi hanno raccontato il percorso creativo di un…artista totale.
Diversi artisti e designer guardano alla moda con grande interesse e spesso sono invitati dai brand del fashion a progettare capi di abbigliamento o accessori. Con esiti a volte sorprendenti come quelli raggiunti da Damien Hirst, che nel 2007-08 ha disegnato una capsule collection di jeans per Levi’s, utilizzando lo stesso procedimento usato per i suoi Spin Paintings, e nel 2013 un’altra di foulard per Alexander McQueen, ispirati al tema della morte, che costituisce il Leitmotiv di quasi tutta la sua opera. E che un anno prima aveva collaborato con il brand americano The Row per creare dodici borse in cocco, decorate con pois e pillole colorate.
Nel tuo armadio qual è l’abito/accessorio che preferisci? Quale, invece, vorresti possedere senza necessariamente dover indossare?
Un abito nero con inserti di pizzo, molto bello, ma mai indossato. Ho una grande passione per scarpe e borse e persino cappelli, alcuni mai usciti dall’armadio. Ma, confesso che mi piacerebbe molto possedere un headpiece di Philip Treacy, lo stilista irlandese preferito dalle inglesi appartenenti alla nobiltà o allo star system. Ovviamente, dubito che uscirei di casa, indossandolo!
Cosa rappresenta la moda oggi secondo te: un manifesto culturale, un universo parallelo o una domanda senza risposta?
E’ un universo parallelo e per questo affascinante, una sorta di filtro attraverso il quale passano stimoli provenienti da altri ambiti, in diversi casi una sorta di manifesto anche se a volte ispirato più che da motivazioni culturali da esigenze di marketing.
Più che una domanda senza risposta, la moda è veicolo di una serie di provocazioni che di primo acchito suscitano reazioni non di rado contrastanti, ma che poi vengono metabolizzate nel tempo.
Non va dimenticato che la moda è la seconda voce dell’export del Made in Italy, dunque un elemento fondamentale nell’economia del nostro paese.
La grande installazione Ago, filo e nodo di Claes Oldenburg e Coosje Van Bruggen, collocata in piazza Cadorna a Milano, lo sottolinea in maniera enfatica ma efficace.
Un pensiero sull’ultima sfilata di Gucci.
Le immagini diffuse sul Web mi hanno fatto immediatamente pensare alle Tragic Anatomies degli inglesi Jake e Dinos Chapman, che nelle loro opere riflettono con diversi linguaggi sul tema dell’orrore che contrassegna il nostro tempo.
Ho trovato inopportuno far svolgere la sfilata in una sala operatoria, un luogo in cui il dolore esige da tutti un rispettoso silenzio.
Lia De Venere
(Bari) Storico e critico d’arte e curatore di mostre ed eventi di arte contemporanea.
Ha insegnato Storia dell’arte contemporanea in qualità di docente ordinario presso l'Accademia di Belle Arti di Bari e a contratto presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bari nel corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Moda.
Oltre a numerose mostre personali in gallerie private, ha curato diverse rassegne (e i relativi cataloghi) per Enti pubblici in Italia e all’estero (a Londra, Bratislava, Stoccarda, Amburgo, Lisbona) e tenuto conferenze in diverse università in Germania e nella Repubblica Slovacca.
Ha collaborato con la Fondazione Museo Pino Pascali di Polignano a Mare nella curatela di mostre e di residenze di artisti.
Collabora alla rivista d’arte contemporanea “Segno”, alle sezioni Arte e Arteconomy24 del portale Internet de “Il sole 24 ore” e Artribune.
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Giacomo Balla, abito, 1930 Thayaht indossa la Tuta, 1919 sonia-delaunay, Abiti, 1925 Piero-Gilardi-Vestiti natura-1964-2012 Jana Sterbak, I want you to feel the way I do... (The Dress), 1984-85 caterina_crepax_abito_da_sera_scarabeo_-2005_carta Enrica Borghi, La Regina,1999 Lucy Orta, Refuge Wear, 1992-93. Copyright 2014 by Lucy & Jorge Orta yinka-shonibare, Three graces, 2001 Zaha-Hadid Franco Moschino
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