© Jaroslaw Pawlak
01/03/2019 - Immediate e spiazzanti, le illusioni ottiche colpiscono nel contempo gli occhi e la mente.
Lo stupore che si prova davanti ad una piccola magia prospettica capace di rendere, anche se solo per un attimo, possibile l'impossibile, è semplice e alla portata di tutti. Ma per accedervi è necessario deviare momentaneamente dalla "verità" dell’osservazione.
L'affascinante capitolo della prospettiva chiamato anamorfosi fonda le proprie radici nell'arte rinascimentale, come perfetta fusione tra geometria e psicologia della percezione, culminando nel seicento come effetto dei progressi compiuti nel campo della geometria proiettiva e dell’ottica. E parlando di gioco di percezioni e prospettive, l’anamorfismo altro non è che la traduzione in arte di un concetto più ampio: tutto cambia in base al modo di guardare alle cose, perché quello che all’apparenza sembra avere un’unica forma e un unico senso, cela in realtà molteplici sfaccettature. Un concetto che accomuna, in maniere sorprendenti, l’architettura e l’essere umano.
Siamo tutti più di una cosa sola, siamo chiamati ad esserlo in un mondo che ci vuole sempre più veloci, dinamici, capaci. In una parola, eclettici. E in questo tempo in cui viviamo - un tempo che corre - anche il design deve evolvere e rispondere alle nuove esigenze del vivere moderno: un prodotto non può più essere solo bello o solo utile, ma deve avere in sé una pluralità di caratteristiche.
E’ questo il messaggio che Archiproducts e Volkswagen vogliono comunicare, attraverso una narrazione in più momenti che traccia un percorso, in un parallelismo tra architettura e persona, con focus sull’eclettismo. Una caratteristica che viene tradotta in arte proprio attraverso i giochi prospettici dell’anamorfismo.
Strettamente connessa con l’estetica barocca di cui l’anamorfosi sposa l’ossessione per il tema dell’ossimoro, del paradosso e del contrasto, in un’arte che si fa sempre più teatrale, diviene ben presto metafora di una natura essenzialmente spettatoriale.
La città ideale Urbino, dipinto attribuito a Francesco di Giorgio Martini, 1480 ca. ( © De Agostini, L. Romano, Getty Images | courtesy: Electa)
Questa nuova visione del mondo reale e di quello rappresentato trova giusta collocazione in quella che da sempre è considerata la perfezione delle misure, l’ideale di spazi e di prospettive: Pienza.
Inserita nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dall’Unesco, Pienza rappresenta la prima applicazione dei concetti umanistici nella pianificazione urbana e pietra miliare nello sviluppo legato al concetto di città ideale, “progettata secondo precise norme astrologiche e matematiche”.
Questi stessi studi saranno applicati da Giorgio De Chirico nei suoi quadri denominati "Piazze d'Italia".
Giorgio de Chirico, Piazze d'Italia, 1975 © Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma
Con lo sguardo alla grandezza del passato, ma allo stesso tempo incline verso utopie progettuali moderne, Bernardo Gambarelli detto Il Rossellino, architetto della scuola di Leon Battista Alberti, dal 1458 al 1462 prese in carico la progettazione della città Voluta da Papa Pio II che gli affidò la ristrutturazione dell’antico borgo di Corsignano.
Il complesso delle imponenti volumetrie rinascimentali (la Cattedrale sullo sfondo, Palazzo Piccolomini a destra, Palazzo Borgia a sinistra, e il Palazzo Pubblico porticato di fronte) venne pensato per essere inserito in modo scenografico nella Piazza Pio II, una delle piazze più celebri al mondo.
Pienza, Mappa di Piazza Pio II – credits © commons.wikimedia.org
La particolare forma trapezoidale della piazza amplia la visione dello spettatore diminuendo il normale restringimento prospettico e donando allo stesso tempo gran movimento ai palazzi e alla Cattedrale che vi si affacciano.
Questo gioco di prospettive inverse fa sì che la piazza appaia più larga e più corta se vista dal lato porticato e la chiesa più maestosa e incombente. Uscendo dalla chiesa la vista è in prospettiva accelerata e la piazza appare più profonda di quanto non sia realmente.
© Olena Kachmar
Quello della Piazza di Pienza è solo uno dei primi esempi di anamorfismo. Oggi sono tantissimi gli artisti che utilizzano questa tecnica nelle loro opere d’arte e sempre più sono gli esempi utilizzati nella street art.
In tutte queste rappresentazioni – architettoniche, scultoree o pittoriche – la chiave di lettura è unica: la realtà che cogliamo è quella che percepisce il nostro cervello.
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Immagine di copertina: © Jaroslaw Pawlak
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