© Gian Luca Bianco - Courtesy of Fondazione Gianfranco Dioguardi
09/04/2019 - Da sabato 6 aprile, i passanti che percorrono via Paolo da Cannobio possono imbattersi su un’insolita installazione che coinvolge la recinzione del cantiere del Teatro Lirico di Milano: si tratta di una iniziativa del programma Cantiere-evento, costante metamorfosi capace di tramutare il disagio di un cantiere in una fucina d’arte e cultura sempre nuova, generando curiosa attesa verso quella che sarà la prossima installazione e il prossimo evento in programma. Questa volta, a sorprendere una città già in fermento per il Miart e per il Salone del Mobile, il programma – promosso dalla Fondazione Dioguardi con l’Impresa Garibaldi e il Comune di Milano – propone un’installazione dell’artista Gian Luca Bianco nella sua inedita esposizione Ricreazioni.
L’installazione vede 18 poster di grande formato (225x120 cm) affissi sulle cesate del cantiere, alla base della preesistente maxi opera realizzata dall’artista Vincenzo D’Alba; i poster sono in parte riproduzioni di immagini del progetto IMBILICO di Gian Luca Bianco e della poesia “Il Salario” di Jacopo Galimberti, in parte collage creati dai bambini della scuola internazionale di Assisi-Santa Maria degli Angeli (AIS), frutto del workshop “ricreazioni” condotto sulle tematiche di IMBILICO.
Un tema quanto mai profondo e per niente scontato, che Francesco Maggiore, direttore creativo del cantiere, e l’artista Bianco hanno voluto trattare attraverso l’esposizione in una data assolutamente simbolica, proprio in occasione del decimo anniversario del terremoto che ha drammaticamente colpito le Marche e la città dell’Aquila il 6 Aprile 2009. Ed è proprio a partire da un reportage fotografico sulle conseguenze degli eventi sismici che in questi anni hanno colpito le Regioni del centro Italia, che Bianco ha messo in relazione e in dialogo strappi, collage, ricostruzioni geometriche e stampe con delle poesie di Jacopo Galimberti sul valore del proprio tempo, sulla ciclicità del trovare e del perdere, del perdersi e del ritrovarsi.
Ed è dunque l’attenzione suscitata dalle geometrie astratte che Bianco ha scelto per trattare un tema così importante e delicato che mi ha spinto a porgergli alcune domande, iniziando dalle motivazioni che lo hanno portato all’ideazione di questo progetto:
“Il progetto nasce per mantenere l’attenzione su un tema cosi importante, dare un valore positivo di ricostruzione, una ricostruzione immaginaria e immaginata, una ricostruzione emotiva, visto che un terremoto è un trauma per gli individui attraverso uno sradicamento di famiglie” spiega Bianco, “Penso l’arte come radiografie scomposte, con trasparenze su dei fogli di acetato, permettendo di vedere la frattura che io ho percepito camminando in quei luoghi. Ho vissuto il sisma del 2009 ad Assisi, scappando di casa e ritrovandomi in piazza, da allora ho sentito l’esigenza di esplorare ciò che questo aveva lasciato dentro di me, di ridimensionare e rivalutare i modi di vivere andando ad esplorare quei territori dopo il sisma, provando a fotografarli per cercare di ricostruire immediatamente l’emergenza che stavano subendo, rimettendone insieme i pezzi.”
Il lavoro Ricreazioni è in realtà la volontà di Bianco di rispondere a una esigenza personale, senza il desiderio di dare l’orientamento ad una comunicazione specifica. Artisticamente non c’è la volontà di riportare normalmente delle fotografie, ma di rappresentare la frammentazione interiore vissuta da quanti erano presenti durante il sisma. Una sorta di fotografia interiore che rappresenta la fragilità dell’uomo dopo un terremoto, la trasformazione di un dolore in una direzione di speranza, cercando di dare un esempio perché come dice ancora Bianco: “Dalla distruzione nasce sempre qualcosa”.
Un progetto che vede partecipi anche i bambini, che Bianco ci racconta cosi:
“Hanno una straordinaria velocità di apprendimento e hanno assimilato i ricordi del dramma. Quasi tutto il loro approccio è dedicato al manifestare la solidarietà verso il prossimo, verso chi ha sofferto di più. Un concetto di ricostruzione solidale, attraverso la ricostruzione delle parti che interessano la comunità, comprendendo incredibilmente la perdita del senso di socialità”.
Proprio così questa installazione collettiva rappresenta la ricreazione, il perpetuo mutamento, l’esortazione a trovare del tempo per fermarsi, per riflettere sulla nostra condizione, in un breve viaggio tra Assisi e Milano, tra i bambini e gli adulti, tra le parole e le immagini, tra l’unità e la disgregazione.
Nella sequenza delle immagini allestite non vi è un ordine prestabilito; il progetto intende invitare lo spettatore a percorrere l’esposizione in piena libertà, a godere un momento di silenzio libero dal caos e dal tumulto per rintracciare quei luoghi in cui ogni cosa può essere creata, ricreata, rigenerata.
Tuttavia sorprende quanto ben più ampia sia la volontà dell’artista, che trapassa i confini del dramma e si sofferma su un tema di ben più ampia portata: la nostra riconnessione con il pianeta.
“Danni che accadono perché non siamo più connessi con il pianeta, pensando sempre a soddisfare noi stessi, una soddisfazione non sostenuta dalla terra in cui viviamo, dobbiamo ricreare una visione sostenibile del nostro mondo”.
Quindi di questo si tratta, di ricreare e di ricrearsi del tempo, dando valore al nostro, cercando di soffermarsi sul momento senza correre al ritmo frenetico della vita quotidiana. Un modo per far riflettere su quanto rischiamo di perdere, non solo a causa di un sisma, ma di un ritmo quotidiano che spesso non ci appartiene e che spesso ci fa dimenticare come andrebbe pensato e vissuto il nostro presente. Un tema che più che mai si ricongiunge con gli intenti del progetto Cantiere-evento, un esperimento unico che ancora una volta rimargina la ferita che un cantiere infligge ad un contesto urbano, donando speranza e donando, appunto, un nuovo spunto di riflessione per concepire il tempo.
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