30/05/2019 - Lo scorso 24 maggio, è stato inaugurato a Roma il terzo Creative Centre Casalgrande Padana. I Creative Centre sono luoghi aperti ai professionisti del settore, ideati dal brand per superare il tradizionale concetto di showroom commerciale, proponendosi come un crocevia tra ceramica e progetto, coniugando dimensione espositiva, comunicazione, informazione tecnica e una articolata serie di iniziative nel campo dell’architettura, del design e della produzione.
Il luogo scelto per il Creative Centre a Roma è particolarmente significativo e rappresenta l’occasione per aprire alla comunità dei progettisti un importante manufatto d’autore: Casa Baldi, progettata da Paolo Portoghesi e realizzata tra il 1959 e il 1961.
Casalgrande Padana ha affidato il progetto di restauro e ridestinazione allo stesso Paolo Portoghesi, che ha elaborato una serie di soluzioni coerenti con l’opera originale e allo stesso tempo sensibili a valorizzarne architettonicamente e funzionalmente la nuova destinazione d’uso.
L'architetto racconta la genesi di questa singolare architettura e il progetto di ridestinazione che, a poco meno di sessant’anni dai primi schizzi, lo vedono nuovamente protagonista attivo.
“Gian Vittorio Baldi era uomo di cultura. Regista di una certa importanza, autore di esperimenti di “Cinema verité” e produttore dei primi film di Pasolini. Ci siamo conosciuti nell’occasione di un documentario per il quale mi aveva chiesto il commento parlato. Dovendosi costruire una casa a Roma ambiva a qualcosa di diverso e si rivolse a me dicendomi: “Ritieniti completamente libero. Io ho solo due problemi, quello di spendere poco (non più di 10 milioni di allora) e, oltre alle normali dotazioni, disporre di due camere da letto e di uno studio”. In principio ho pensato di curare l’aspetto distributivo poi, avendo visitato il terreno, sono rimasto affascinato dalla situazione e ho cercato di dare risposta a un luogo straordinario, collocato su una collina sopraelevata di una cinquantina di metri rispetto alla via Flaminia, con una rupe di tufo di fronte al paesaggio dove si svolse la battaglia tra Costantino e Massenzio. Accanto sorge il rudere romano di un sepolcro mai studiato, ma di grande fascino che, consumato dall’acqua e dal tempo, ha perso le sue sembianze per trasformarsi in una specie di scultura. Il progetto è nato dunque da un committente speciale, un budget molto modesto, un luogo pieno di suggestioni.In questo edificio c’è tutto quanto ho cercato di fare nella mia vita. Cioè recuperare la storia e le sue forme attraverso i luoghi, applicando la lente della sensibilità moderna. Per cui il progetto traeva intenzionalmente riferimento dalle ricerche del movimento De Stijl. Soprattutto da Van Doesburg, Van Eesteren, Rietveld e allo stesso tempo dalla morfologia degli edifici borrominiani che io avevo studiato con particolare attenzione. Quindi rappresenta il tentativo di legare due fenomeni completamente diversi che però, secondo me, avevano in comune l’aver messo in discussione il fondamento dell’architettura. Voleva essere sostanzialmente questo. Una proposta di architettura nuova legata ai luoghi e alla storia, ma allo stesso tempo partecipe della rivoluzione del Movimento Moderno.Per il progetto di ridestinazione ho impostato due ipotesi. Una presuppone che il salone, la parte spazialmente più interessante della casa, venga conservato così com’era. L’altra, per rispondere alla necessità del committente di avere più superficie possibile per l’esposizione, prevede di rivestire le pareti con le lastre ceramiche prodotte dalla società. Il tutto adottando un criterio capace di valorizzarne la spazialità e al tempo stesso assimilare elementi compositivi che prima non c’erano, quali il colore e le superfici lucide della ceramica, molto diverse dall’intonaco. D’altra parte si parla di show room, quindi di esposizione di oggetti. Mettere questi oggetti in mezzo alle stanze avrebbe significato negare la fluidità dello spazio, che è l’elemento fondamentale della casa. Quindi, mentre nei piccoli ambienti c’è la massima libertà di disporre le cose, negli ambienti protagonisti, quello al primo piano soprattutto, il desiderio è di non alterare la composizione spaziale per conservarne la fluidità. Al piano terreno invece, il discorso è un po’ diverso. L’idea è di accostare le lastre ceramiche dell’esposizione, in modo che vengano lambite da luce naturale indiretta. La stessa logica che a suo tempo ha definito il rapporto tra le diverse pareti dell’involucro della casa, le quali si staccano una dall’altra creando delle fenditure vetrate. Infatti, le finestre di Casa Baldi non sono “buchi sul muro”, ma rappresentano il risultato di un processo di avvicinamento, che nello stesso tempo evita ogni contatto e confusione. Una vicinanza intesa come desiderio. Tutto questo ho cercato di riprodurlo al piano terreno, ipotizzando di collocare le grandi lastre ceramiche a formare una curva, interrotta ove serve dalla luce radente proveniente dalle vetrate. In fondo una scoperta del barocco.”
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