Ph. © Giulio Ghirardi
16/11/2020 - Inserito da Architectural Digest France per tre volte consecutive nella lista dei 100 designer più influenti al mondo, Hannes Peer, architetto, designer e artista a tutto tondo di origine austriaca, progetta spazi eclettici che decora combinando rigore progettuale e visione poetica, con pezzi di arredo unici – molti dei quali autoprodotti – sulla linea di una continua ricerca di design formale e concettuale.
I suoi progetti sono riconoscibili per la forte identità iconografica, basata su una continua ricerca su colori e materiali e per la contaminazione tra i diversi linguaggi moderni e contemporanei.
La sua casa-laboratorio a Milano – uno spazio che ha ricavato in un edificio industriale di metà Novecento – porta il timbro della sua filosofia progettuale che spazia tra arte, scultura e architettura. All'interno si possono trovare dai prototipi autoprodotti, pezzi di design brasiliano anni 70, icone del design moderno, fino a tappeti Art Déco Anni 30 accostati a lampade brutaliste.
L'architetto altoatesino ha aperto le porte della sua abitazione a Milano, una ex tipografia trasformata nello spazio in cui lui vive e lavora.
Come dialogano tele, busti in marmo e prototipi in questo progetto di interior? E quale il suo rapporto con la città di Milano? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui, Hannes Peer.
Ph. © Giulio Ghirardi
1. Hai definito la tua casa-atelier il tuo ‘rifugio’. Come dialogano, all'interno dello stesso spazio, le funzioni di ‘casa' e di ‘atelier’? E come hai concepito il layout delle diverse funzioni?
Ho cercato questo spazio per oltre 3 anni prima di trovarlo. Lo spazio negli anni è stato utilizzato prima come tipografia, poi come salone di bellezza e infine un centro di massoterapia con più di venti piccole stanze suddivise da un numero infinito di pareti. Il potenziale dello spazio architettonico era appena visibile quando ho visto lo spazio per la prima volta.
Quando ho fatto vedere lo spazio i miei amici pensavano fossi pazzo. Io invece avevo già deciso di farlo mio.
Avendo già esperienza con le costruzioni dell'era industriale a Milano e avendo già il progetto in mente, ho immaginato una vera e propria tabula rasa abbattendo oltre 50 muri creando uno spazio aperto e arioso su due livelli con lucernari e finestre di grandi dimensioni.
Lo spazio è prima un appartamento e poi un atelier. Bisogna sapere che vivere e lavorare per me è più o meno la stessa cosa, entrambi si intrecciano costantemente nella mia vita, proprio per questo motivo ho creato questo spazio intorno a me, uno spazio dove posso mettere al lavoro tutta la mia creatività, dall'architettura all'interior design alla costruzione dei miei prototipi di design e dei miei dipinti scultorei ogni volta che mi rimane un pò di tempo libero. La planimetria si compone di due rettangoli che si intersecano e che sono suddivisi in sei sezioni, dove troviamo un vestibolo con il conversation pit, un soggiorno, un atelier, uno studio dove lavoro al computer, una piccola cucina e una camera da letto.
2. Nella definizione della palette cromatica c'è una relazione tra destinazione d'uso degli spazi e colori scelti?
Il mio design, per questo progetto in particolare, mira a creare un'esperienza spettacolare e suggestiva, ho attinto cromaticamente alle audaci atmosfere dell'era postmoderna dei loft a New York progettati da designer come Joe D'Urso o Alan Buchsbaum.
I pavimenti del vestibolo e del soggiorno sono rivestiti in resina color ebano lucida di un tipo non solitamente associato al design residenziale che contrasta la tonalità scura e la texture lucida con le scale in marmo Bardiglio grigio-verde che si aprono attraverso il conversation pit, pareti bianco opaco circondano questo palcoscenico, un lucernario scultoreo e un soffitto in vernice bianca lucida e liscia perfezionano la sensazione di altezza dello spazio. Questa cartella colori apparentemente omogenea e monocromatica è ravvivata da diversi tappeti cinesi art déco dai colori audaci, i dipinti scultorei in blu e verde oliva realizzati da me stesso.
In totale contrasto cromatico troviamo la stanza da letto che si presenta in verde smeraldo con un lampadario oversize di Jacopo Foggini con tonalità che vanno dal rosso al viola. Quest’ultima scelta è stata voluta perché volevo differenziare lo spazio intimo dal resto dello spazio che considero lo spazio di vita e di lavoro.
3. Nel tuo lavoro si assiste spesso ad una contaminazione di diversi linguaggi, stili e culture e la tua casa ne è la prova tangibile. All'interno si possono trovare prototipi fatti da te, pezzi di design brasiliano anni 70, icone del design moderno, fino a tappeti Art Déco Anni 30 e lampade brutaliste..qual è stato il motore creativo che ha dato personalità e unicità allo spazio?
Una costante nel mio lavoro da interior designer è la ricerca dell'eclettismo oltre che dell'alta qualità nel design a tutte le scale attraverso lo studio dello stretto rapporto tra architettura, contesto storico e nuove tecnologie mediando tra artigianato e produzione industriale. Il linguaggio utilizzato nei miei progetti è sempre caratterizzato dalla stratificazione degli elementi e degli stili cercando di unire visione poetica e design rigoroso. Direi che i miei progetti sono riconoscibili per la loro forte identità iconografica basata sulla continua ricerca sui colori e sui materiali e sulla contaminazione tra i vari linguaggi contemporanei. Il mio stile è un mix di tradizione e contemporaneità, adoro la sovrapposizione di stili diversi, a volte evidenziando il rispetto per elementi storici, includendo e sovrapponendo elementi contemporanei, conferendo all'intero progetto un senso di eclettismo e unicità.
Cerco di rendere i miei progetti sofisticati anche dal punto di vista dei materiali. Questo ha molto a che fare con la ricchezza e molteplicità di elementi e materiali che uso come marmi, tappeti di seta, metalli ossidati, legni invecchiati, superfici con diverse trasparenze, superfici materiche, ecc. L'opulenza di queste texture mescolata con il dramma di l'illuminazione naturale conferisce allo spazio un senso di teatralità. La ricchezza delle texture e l'architettura degli spazi creati portano senza dubbio il timbro della mia ricerca architettonica e decorativa che considero profondamente italiana.
4. Contaminazione di stili e culture ma anche ibridazione tra diverse discipline che definiscono la tua personalità di artista a 360 gradi: architetto, designer e scultore. Come dialogano tele, busti in marmo e prototipi di oggetti a tua firma in questo progetto di interior?
Per me nell'interior design è tutto una questione di equilibrio, ogni elemento deve trovare la sua raison d'etre, quindi è in relazione per un motivo preciso, che sia per colore, texture, materia, architettura, locus, definizione..oppure semplicemente per raccontare o completare una storia. La maggior parte dei pezzi di design li ho disegnati da me, ma amo l'eclettismo in generale, amo mettere in relazione epoche, stili diversi, neorinascimentale con mobili in stile anni '70, anni '80 con neoclassico (i busti in gesso per esempio). Ho decisamente un amore per il design brutalista realizzato dalle designer donne più radicali degli anni '70 come Maria Pergay, Nanda Vigo, Antonella Astori e Gabriella Crespi. mi diverte molto accostare e combinare materiali come legni e stoffe, metalli con patine , colori e superfici diverse. In particolare in questo progetto mi interessava il vestibolo. Questo spazio per vari motivi è importante, per la struttura architettonica che gli ho conferito ma anche per gli elementi che ho scelto.
Il conversation pit all'ingresso dell'appartamento rende omaggio alla tradizione delle architetture moderniste americane come la Miller House progettata da Eero Saarinen. Si tratta di un'area salotto comune incassata nel pavimento in resina marrone scuro, rivestita con divanetti in pelle color cammello. Sopra il conversation pit ho progettato e fatto realizzare un monumentale lampadario in vetro di Murano di 16 metri quadrati con petali in vetro trasparente e opalino. Questo enorme lampadario si trova tête-à-tête con un bassorilievo in gesso del fregio del Partenone. Questi elementi neoclassici si possono osservare in tutto il progetto, irrompono nel progetto, creando immediatamente una dialettica. Una brutalista applique Poliarte è posta accanto a due applique vintage Giò Ponti della serie 'Finestre' disegnate per Arredoluce. Vari tavolini, alcuni disegnati da me, altri di stampo vintage adornano questo spazio per me speciale.
5. Com'è il tuo rapporto con la città di Milano?
È cambiato più volte in questi ultimi 20 anni da quando ci vivo. All'inizio è stato difficile ambientarmi, arrivavo da una realtà diametralmente opposta come l'Alto Adige, paesino di appena 3000 anime, arrivare nella metropoli più energica d'italia, ho dovuto cambiare letteralmente ritmo e velocità. Avendo poi vissuto molti anni all'estero – lavorano per Zvi hecker a Berlino e rem Koolhaas a Rotterdam poi per un architetto argentino in Spagna – tornando a Milano me ne sono riappropriato e innamorato di nuovo.
Chiaro che ora in questo periodo storico stiamo un pò tutti cambiando il nostro rapporto con la città, nel senso che ne stiamo piuttosto cercando gli spazi verdi, le aree aperte e così via. Stiamo cambiando e la città cambierà con noi, ne sono certo.
6. In un periodo storico così delicato come quello che stiamo vivendo in cui tutti stiamo riscoprendo il ruolo fondamentale del nostro spazio domestico, qual è la tua personale idea di ‘casa’?
In molti mi hanno chiesto se in questo periodo storico delicato avrà la meglio il minimalismo sull'eclettismo nell'interior design, per me la risposta è sempre la medesima, assolutamente no. Io amo raccontare delle storie con i miei interior, sono storie fatte di colori, emozioni, materiali, oggetti, patine, l'emozione di scoprire un affresco sepolto sotto un cartongesso. Vorrei che ci fosse più cura e più sofisticazione nell'arredare le nostre case. La casa come non mai diventerà espressione di noi stessi, un luogo prezioso, espressione dei nostri sogni, delle nostre emozioni ma anche soprattutto della nostra intimità. Penso qui alle dimore fantastiche di una Gabriella Crespi o la casa di Carlo Mollino a Torino o quella di Jean Cocteau nel Sud della Francia. Queste case raccolgono con delicatezza centinaia di oggetti personali, è questo il loro bello, è per questo che hanno carattere. Per questo non accetto una concezione minimalista dell'architettura, è troppo riduttiva, sinonimo di assenza di personalità. Le case più affascinanti sono quelle che raccontano di chi le vive, case da 'Wunderkammer' che sono frutto di oggetti strani collezionati nel tempo, di una generosità di forme e materiali, sono frutto di una curiosità che dobbiamo continuare a coltivare, come i viaggi, le nostre case diventeranno essenza e realtà dei nostri viaggi mentali.
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