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ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala
17/12/2021 - Il 7 dicembre scorso, la Prima della Scala è tornata in presenza con una delle opere più amate: il Macbeth di Giuseppe Verdi.
«L’arte di creare suspense è nello stesso tempo quella di mettere il pubblico nell’azione facendolo partecipare», sosteneva Alfred Hitchcock.
La regia di Davide Livermore e la scenografia dello studio Giò Forma hanno tradotto in pratica queste parole, fa entrare il pubblico in vortici e in labirinti, lo elevano da terra e lo fanno sprofondare; come il potere.
«Mettere in scena nel 2021 il Macbeth deve fare i conti non solo con l’immensa opera di Shakespeare, la impressionante partitura del giovane Verdi e l’intrigante adattamento di Francesco Maria Piave, ma anche con questo momento difficile per il teatro, per Milano e per il mondo», premette Cristiana Picco, aprendosi l’opportunità di fare qualcosa mai fatto prima. Via le barriere del tempo e dello spazio, si entra in un mondo onirico, in diretta. «È una topìa che muta in U-topia, Dis-topia o Etero-topia – continua – non è un ambiente soggetto alla forza di gravità né si adatta alla sua logica: sotto, sopra, destra e sinistra si fondono in un unico ambito. Nel Macbeth Verdiano non ci sono distinzioni tra spazi reali o irreali.»
"Il fil rouge di tutta la drammaturgia è il grattacielo scomposto, che fin dalla città di Babilonia è simbolo della folle tendenza umana a volere raggiungere il cielo e a superarlo. L’estrema fedeltà di Livermore al libretto originale lo porta a traslare l’orizzontalità narrativa originale in una vertiginosa verticalità.
Il grattacielo è punto di dominio sulla città, sull’ingegneria, sulla forza di gravità stessa, una moltiplicazione di spazio e di potere economico, frutto dell’edonismo finanziario di pochi potenti ma visibile a tutti.
Un punto di vista privilegiato che ci permette, staccandoci da terra, di osservare i pensieri contorti e complessi dell’uomo in una ridondante sequenza di corridoi, di cui è emblema la facciata della Scottish Court Tower.
È così che Macbeth e consorte diventano architetti eclettici ed eccentrici, collezionisti bulimici che mettono in scena la propria deriva.
È il grattacielo ad accogliere tutte le scene, diventando un Macbeth verticale con trillo Verdiano.
Verdi, attraverso le vicende di Macbeth, ci fa vedere cosa succede a una società quando questa è oppressa da un dittatura. Verdi parlava alla propria contemporaneità in maniera pazzesca, violenta, con un impatto estremamente straordinario, oggi per noi è fondamentale restituire questa forza, restituire la forza di un teatro vivo, prendendo un testo che è stato scritto per la sua contemporaneità e riportandolo nella nostra. Raramente troviamo un’opera che parla al presente come Macbeth.
«Diventa un “hyper labirinto” potente e ardito che attraversa tempi e luoghi. Sfonda il soffitto della Scala per lanciarsi nel cielo milanese, newyorkese, londinese o di qualsiasi altra città», spiegano da Giò Forma, sempre alla ricerca di dettagli, statue e architetture simboliche da «saccheggiare» idealmente nel mondo per riportarle sul palco, a raccontare ciascuno una storia. A partire dall’universo di Pietro Portaluppi e dalla misteriosa facciata mai realizzata, disegnata nel 1926 per un palazzo in Corso Sempione. «Forse stimolato dal momento di sospensione tra le due guerre o dell’euforia nazionale, in quel momento un Portaluppi ossessivo, divertente e geniale sceglie un simbolo preciso: il labirinto – racconta Picco – che si adatta perfettamente al genio shakespeariano».
E poi ci sono i colpi di scena come il pavimento che racconta la fuoriuscita di petrolio nel mare. Ci sono poi le citazioni: le opere possedute dalla coppia sono altamente simboliche, una pantera nera dantesca alla maniera di Bugatti, una citazione femminile di Arno Breker di inquietante bellezza e la esile, smaterializzata, dissoluta e perdente presenza umana di Giacometti che si contrappone al vincente Discobolo di Mirone, già amato in passato dagli avidi di potere.
Con tutto il team artistico si è cercato di fare arte attraverso la nostra contemporaneità, ci siamo da subito impegnati, consci del fatto che la partita andava vinta anche da un punto di vista televisivo.
In questa dinamica è difficile distinguere tra l’ideazione scenica vera e propria e le scenografie virtuali che la prolungano e vi dialogano. Con vertiginosa forza immaginativa, sorprendenti suggestioni e drammaticità di toni, attorno ai personaggi si muove e modifica a vista il mondo.
Con questo intervento di phygital design, siamo riusciti a far vivere l’esperienza televisiva in maniera più accattivante ed esclusiva".
Il digitale e la realtà aumentata «ci permettono di entrare nella testa di Macbeth e di vivere i suoi incubi». «La dinamica ossessiva dei protagonisti viene incorniciata non solo dai molti oggetti scelti e disegnati – conclude Picco – ma prende forma nei bassorilievi delle facciate e negli interni scomposti e ri-assemblati nel segno della drammaturgia».
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