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27/12/2022 - Il colore è protagonista dello spazio e della forma nella mostra dedicata al pittore italiano Piero Dorazio, fra i massimi rappresentanti dell'astrattismo europeo.
Allestita negli spazi espositivi della Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e della Galleria dello Scudo di Verona fino al 30 aprile 2023, l’esposizione, di carattere strettamente scientifico, è centrata su una selezione di oltre trenta dipinti provenienti dagli eredi dell’artista e da collezioni pubbliche e private.
L’esposizione dal taglio inedito volge lo sguardo alla produzione del pittore italiano tra il 1963 e il 1968, quando la struttura reticolare dei lavori datati 1959-1962 cede il passo a un nuovo impianto compositivo, esito di un’indagine sulle modalità con cui il colore diviene protagonista dello spazio e della forma, quando la sua ricerca manifesta una rinnovata libertà inventiva. Sono gli anni della Pop Art e dei contrasti sociali che animano le giovani generazioni, sollecitazioni che Dorazio riprende e rilancia in una pittura intesa come campo di tensioni e invenzioni, pur in correlazione con i riferimenti alle avanguardie storiche – il futurismo, il suprematismo di Kazimir Malevič e il neoplasticismo di Piet Mondrian – e con la produzione artistica e teorica del suo recente passato.
Percorso espositivo. Si apre simbolicamente con Presente e passato, opera del 1963 in cui l’intreccio del segno è superato dalla stesura di fasce policrome in fitta sequenza verticale, per proseguire con tele di grandi dimensioni costruite secondo geometrie che dilatano le trame luminose d’un tempo verso sempre diverse e molteplici possibilità compositive. Ne sono prova Cercando la Magliana del 1964 e Balance and counterbalance dell’anno seguente.
In questi anni, durante l’insegnamento alla University of Pennsylvania, Dorazio è al centro di un vivace confronto internazionale correlato all’ambiente culturale di New York, dove la sua ricerca è sostenuta e promossa dalla Marlborough- Gerson Gallery, attiva anche a Roma e a Londra.
A consolidare il rapporto con i protagonisti della scena artistica americana sono gli inviti rivolti ad alcuni di loro – da Barnett Newman a Helen Frankenthaler, Ad Reinhardt, Franz Kline, Clyfford Still, Jules Olitsky, Kenneth Noland – a partecipare alle attività didattiche programmate dal dipartimento da lui diretto. Alla conoscenza della sua opera negli Stati Uniti contribuiscono la presenza in The Responsive Eye, la grande mostra al Museum of Modern Art di New York che, all’inizio del 1965, vede schierati i protagonisti del movimento noto come “Color Field”, nonché la personale, con diciotto dipinti e un centinaio di stampe e opere su carta, al Cleveland Museum of Art nel settembre dello stesso anno. Seguirà la partecipazione alla International Exhibition of Contemporary Painting and Sculpture a Pittsburgh nel 1967, e ad altre mostre collettive che lo confermeranno alla ribalta della critica soprattutto statunitense.
Quella di Dorazio, fra il 1963 e la fine del decennio, è dunque una “nuova pittura”. Egli rompe la gabbia delle “Trame” per spaziare verso altre, molteplici strade destinate a produrre esiti la cui risonanza si avvertirà anche a distanza di tempo. Una pittura che si confronta, in modo aperto, con quanto proposto da un contesto internazionale di cui Dorazio è protagonista a pieno diritto, avendo instaurato e coltivato relazioni che lo collocano sempre al centro della scena.
L’indagine prosegue, poi, documentando le diverse direzioni verso cui si apre la sua ricerca, dalla griglia regolare, fitta ma ben leggibile, in My best del 1964, alla costruzione di strutture tra le più varie per ribadire la vocazione architettonica di nuove tele datate 1965 come Another Way o Balance and counterbalance, sino alla fluidità della linea curva, protagonista tra il 1965 e il 1966 in lavori come Endless Federico(I) (per Federico Kiesler) e Dindon (omaggio a Giacomo Balla n. 2).
Sono soluzioni che denotano la volontà di liberarsi dall’insistita aderenza a un unico motivo, per spaziare verso altre ipotesi operative, ciascuna pensata come un possibile inizio.
Evento di rilievo, cui l’esposizione attuale pone particolare attenzione, è la sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia nel 1966, in cui figurano 21 opere tra le più significative di quel momento, molte delle quali inserite nel presente progetto, come Allaccio, Tutto a punta, Ottimismo-pessimismo (a Giacomo Balla) e Tranart (a Gino Severini), tutte di quell’anno. Chiudono la rassegna Litania, Sorteggio, dipinto acquisito negli anni settanta per le collezioni dei Musei Civici di Verona dall’allora direttore Licisco Magagnato, e Next generation, eseguito durante il soggiorno a Berlino nel 1968, dopo l’interruzione dell’esperienza americana, preludio della stagione successiva.
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