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Architetture e città nel Corno d’Africa. Un patrimonio condiviso
Una riflessione sul processo di decolonizzazione del patrimonio architettonico in Etiopia, Eritrea e Somalia
Autore: cecilia di marzo
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ARCHITETTURE E CITTÀ NEL CORNO D’AFRICA. UN PATRIMONIO CONDIVISO
15/07/2024 - Architetture e città nel Corno d’Africa. Un patrimonio condiviso, a cura del MAXXI Architettura con Andrea Mantovano, è una riflessione sul processo di decolonizzazione del patrimonio architettonico in Etiopia, Eritrea e Somalia attraverso lo sguardo contemporaneo di artisti, architetti e studiosi locali e internazionali.
 
Se da un lato i paesi del Corno d’Africa continuano a soffrire, in misura diversa, gli effetti di conflitti mai completamente estinti, dall’altro mostrano grandi energie per costruire il proprio futuro, nella consapevolezza di un passato che li accomuna. Dalla devastazione di Mogadiscio alla rapidissima trasformazione di Addis Abeba, fino alla consapevole conservazione di Asmara, emergono approcci differenti nei confronti di questo patrimonio architettonico e urbano che, a tutti gli effetti, può essere definito un patrimonio condiviso. La mostra inoltre racconta la corposa eredità dell’attività progettuale italiana, per rileggerla alla luce di nuove conoscenze e sensibilità.
  
Nelle sale maggiori di Palazzo Ardinghelli si articola un percorso che documenta le differenti dinamiche di approccio all’eredità architettonica e urbana del Novecento.

Per l’Etiopia, a testimoniare il repentino processo di modernizzazione delle città di Addis Abeba e Jimma, sono le immagini del fotografo locale Michael Tsegaye che con il suo lavoro, realizzato su committenza del MAXXI, documenta le rapide trasformazioni di questo patrimonio. Parallelamente le voci di studiosi e architetti italiani e locali raccontano un processo spontaneo di appropriazione culturale che rappresenta uno strumento di resistenza alla cancellazione indiscriminata del passato attualmente in atto a favore di una “modernizzazione” considerata anonima e poco attenta alla salvaguardia dell’identità storica della città e delle comunità che la abitano.
 
Per la Somalia è invece il fotoreporter e giornalista Farah Omar Nur a documentare le poche tracce quasi irriconoscibili di ciò che resta della città di Mogadiscio dopo anni di conflitto. La mostra accoglie poi la testimonianza dell’encomiabile lavoro di documentazione e archivio delle architetture storiche che studiosi locali e giovani professionisti, come gli architetti del gruppo Somali Architecture, portano avanti, consapevoli dell’importanza di tramandare testimonianze del passato per costruire una coscienza futura.
 
Diametralmente opposta la situazione dell’Eritrea dove il lascito architettonico del Novecento è considerato un bene da curare e conservare. Ne è un esempio la città di Asmara, al centro del racconto del MAXXI, portato avanti con l'aiuto dell'Asmara Heritage Project, in particolare dell'Ingegnere Medhanie Teklemariam e del fotografo inglese Edward Denison. Qui passato, presente e futuro sono legati agli edifici realizzati dagli italiani nel secolo scorso, diventati luoghi simbolici e identitari per le comunità locali che, attraverso la candidatura e il riconoscimento quale Patrimonio Unesco nel 2017, sono riuscite a evitare il rischio di trasformazioni indiscriminate. In mostra è presentato anche l’esito del programma di ricerca Decolonizing Architecture Advanced Studies (DAAS) del Royal Institute of Art di Stoccolma, guidato da Alessandro Petti che, nel 2019, ha sollevato interrogativi sul controverso tema dell'eredità coloniale proprio a partire dalle conseguenze che la nomina di Asmara a Patrimonio dell’Umanità avrebbe comportato.
 
Architetture e città nel Corno d’Africa. Un patrimonio condiviso è anche un omaggio all’eredità dell’attività progettuale italiana, opera di architetti e urbanisti noti e meno noti. Nella sequenza di sale più piccole, attraverso materiali d’archivio, alcuni focus storici raccontano le città di Addis Abeba, Asmara e Mogadiscio e le storie, fatte di scambi e relazioni, di due professionisti italiani - Arturo Mezzedimi in Eritrea e Etiopia e Veglio Bertani in Somalia - che hanno avviato la propria attività negli anni Trenta del Novecento per poi continuare a lavorare intensamente che nei decenni successivi.  
 


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