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Icone della luce: un viaggio nel tempo con i Maestri
I fratelli Castiglioni, Vico Magistretti e Gae Aulenti ci accompagnano alla scoperta delle storie dietro le quinte del design 'illuminato'
Autore: giulia capozza
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Achille Castiglioni con Taraxacum 88, Flos, 1988 - © Flos Achille Castiglioni con Taraxacum 88, Flos, 1988 - © Flos
24/01/2025 - Rivoluzionarie, intramontabili e frutto di geni creativi senza eguali, le lampade iconiche disegnate dai maestri del passato restano dei classici senza tempo che hanno cambiato le nostre vite quotidiane.

Arco, Pipistrello, Atollo sono solo alcuni dei nomi di lampade che hanno travalicato i decenni, sfuggendo all’oblio per raggiungerci oggi con lo stesso fascino ed efficacia funzionale delle origini.

Ma cosa c'è dietro agli oggetti dal design esemplare che hanno popolato le case degli italiani e ispirato generazioni di progettisti? Persone appassionate, legami fecondi, intuizioni nate dalla quotidianità e fortunati contesti storico-culturali sono diventati la miccia per l’esplosione di quel fenomeno noto come Italian Design.
 
In un viaggio nel tempo attraverso il secolo scorso, ripercorriamo insieme la storia dei fratelli Castiglioni, Vico Magistretti e Gae Aulenti, tra i grandi 'Maestri della luce', per ricordarne la personalità audace, la verve creativa e gli oggetti iconici che ci hanno lasciato in eredità.
 

I fratelli Castiglioni e la 'forma dell'utile'

“Nella nostra vita di famiglia, Livio ci ha sempre fatto sentire come se fossimo dei pionieri, divertendosi sempre a giocare a fare le cose che non si possono fare, senza strafare. Il più matto dei savi e il più savio dei matti”. 

Le parole di Achille Castiglioni su suo fratello maggiore riportate nella rivista Flare del 1999, ben spiegano l’attitudine dei fratelli Castiglioni alla sperimentazione, a creare ciò a cui nessuno aveva mai pensato prima.

La Milano degli anni ’50 - ‘60 è la culla del boom economico del secondo dopoguerra, terreno fertile per la vivacità intellettuale di giovani architetti e progettisti che si affacciano al contesto lavorativo. Ma soprattutto un’epoca di profondi cambiamenti sociali, in cui gli spazi abitativi diventano fluidi e adattabili.

Sono gli anni in cui mostre ed esposizioni d'arte, tra cui le Triennali di Milano, consacrano il design italiano a fenomeno internazionale, raccontando i cambiamenti socio-culturali e anticipando tendenze e innovazioni epocali. Luoghi di informazione, diffusione, sperimentazione, ma anche di incontro e fervore culturale che, oltre a portare in scena i più recenti traguardi del design industriale e dell'arredo, danno il via a fortunate collaborazioni tra progettisti e produttori.
 
È proprio in questo periodo che lo studio di architettura fondato dall’architetto Livio Castiglioni e poi portato avanti dai due fratelli minori Achille e Pier Giacomo dà vita ai primi prototipi di arredo, che poi diventeranno classici.  

Evento cruciale di esposizione per i fratelli architetti è la mostra “Colori e forme nella casa d'oggi” di Villa Olmo a Como del 1957, dove i Castiglioni presentano una serie di oggetti che sintetizzano il loro linguaggio: una commistione di storia e modernità in cui funzionalità e minimalismo si coniugano con una chiave ironica.

La lampada Luminator è tra gli oggetti in esposizione. Con un treppiede semplice e una statura austera, l’iconica lampada a luce indiretta è puro minimalismo funzionale: rivolta a soffitto, permette di schermare la luce lateralmente, per proiettare l’intero flusso di emissione luminosa verso la parte superiore.
 
“Luminator - racconta Achille Castiglioni - è scaturito come nostra risposta alla domanda di una 'forma dell'utile' per l'industria italiana".
 
Negli anni ‘60, infatti, alcune aziende per lo più familiari o artigianali come Arflex, Kartell, Cassina e Gavina cominciano a pensare in termini industriali e cercano giovani architetti capaci di innovare la produzione.

“La nascita dell’Italian Design - affermava Vico Magistretti - deve moltissimo al colloquio stretto tra la produzione e chi progetta: è nato dai produttori che volevano cambiare, crescere, evolvere. E, anche per questo, dura dal 1960.”

Nel loro piccolo laboratorio a Merano, Dino Gavina e Cesare Cassina sperimentano nuovi materiali per portare la produzione in bottega a una scala industriale.
 
Al contempo, nello stesso comune si svolge l’attività dell’imprenditore Arturo Eisenkeil, importatore di un innovativo rivestimento polimerico dagli Stati Uniti, il Cocoon. Si tratta di un nuovo tipo di plastica spray rinforzata con fibra di vetro, nata per proteggere le navi da guerra in disarmo.
 
Eisenkeil ha l’intuizione di usarlo per rivestire strutture in acciaio, in modo da produrre forme inedite con un procedimento a spruzzo che ricorda la produzione dello zucchero filato.‎ La texture ottenuta dalla posa della resina sembra essere ideale per far filtrare la luce, con un effetto caldo e accogliente. 

Perché allora non sperimentare le potenzialità del Cocoon proprio per le lampade? I tre imprenditori iniziano a collaborare, dando vita al brand di illuminazione Flos.

L’incontro dei Castiglioni con Dino Gavina alla X Triennale di Milano segnerà la svolta. Tra la neonata realtà produttiva e i fratelli Castiglioni nasce una proficua collaborazione che stimola nei progettisti l’interesse per il design della luce.

La ricerca di progetto - sosteneva Achille Castiglioni - ha la caratteristica di non essere un momento d’isolamento, bensì uno sforzo comune di molte persone nell’ambito delle specifiche competenze di ognuno. Competenze di diverse discipline e interessi che trovano nel risultato di progetto del designer il momento di sintesi espressiva di un grande lavoro collettivo”.
 
Con il nuovo materiale d’avanguardia i Castiglioni creano così le prime lampade iconiche e rivoluzionarie, reinventando l’idea di illuminazione artificiale. Esempi del 1960 sono Taraxacum, Viscontea e Gatto, inedite interpretazioni di lampadari o lampade da tavolo in cui la materia plastica è modellata in modo da tratteggiare sagome naturali in un unico volume, dal fiore al gatto seduto.

Si susseguono lampade dalle geometrie organiche rigorosamente funzionali che traducono un minimalismo concettuale carico di ironia e stravolgimento, in linea con le esperienze surrealiste e dadaiste dei primi decenni del ‘900.

Le lampade dei Castiglioni sono l’emblema dell’intero approccio dei due fratelli al design basato sul trasformare oggetti ordinari in pezzi iconici, traendo ispirazione dalla vita quotidiana.

“Abbiamo preso una lampada di quelle stradali e abbiamo avuto il coraggio di portarla in casa”, così Achille descriveva Arco, la lampada creata nel 1962 che elimina la necessità di un’illuminazione a soffitto.
 
Un arco telescopico, una base in marmo che funge da contrappeso e un diffusore forato per dissipare calore. Precisa, pulita, geometrica. Ogni parte di Arco è funzionale a uno scopo, permettendo di illuminare una vasta area da un punto fisso a terra, lasciando spazio attorno al tavolo di lavoro.

E a partire da domande intelligenti, i due designer giungono a risposte luminose inedite per adempiere ai nuovi bisogni abitativi dell’epoca.

Raccontando il design di Taccia, Achille Castiglioni affermava in un’intervista del 1970: “Di certo non avevamo in mente il prestigio quando l’abbiamo progettata, volevamo solo creare una superficie di raffreddamento che disperdesse il calore”.
 
La lampada nasce con l’idea di capovolgere una lampada da soffitto e, su ispirazione del fusto delle antiche colonne greche, il supporto è specificatamente concepito per assomigliare a un radiatore e per sottolineare la sua funzione: la dispersione del calore emanato dalla lampada stessa. 

La genialità delle icone luminose create dai Castiglioni è in “un continuo rimettersi in gioco”, come spiega Carlo Castiglioni, figlio di Achille. “Il risultato finale è qualcosa che non solo deve essere visto, utilizzato, ascoltato, ma deve essere toccato, sfiorato nella sua tridimensionalità”.
 

I 'progetti al telefono' di Vico Magistretti

Negli stessi anni, un altro giovane architetto milanese inizia a collaborare con aziende come Artemide, Cassina e Gavina. È Ludovico Magistretti, detto Vico, che a partire dagli anni ’60, in un contesto di crescente interesse per l’architettura della casa, si specializza sempre più nel design dell’arredo.
 
Figlio del razionalismo italiano, corrente architettonica in cui la forma è diretta conseguenza della funzione, Magistretti crea oggetti semplici, puliti, geometrici, senza ghirigori. Progetti efficaci e funzionali sviluppati attorno a un’idea forte, perfetti per la produzione seriale che si stava sviluppando all’epoca. Le sue lampade sono oggi parte dell’immaginario collettivo internazionale e tuttora classici della produzione contemporanea.
 
“Quello che io ritengo si debba fare, la semplicità, è la cosa più difficile del mondo”. Così Magistretti esprimeva la sua filosofia progettuale in cui la forma scaturisce dalla specifica funzione a cui assolve l’oggetto.
 
“Nella lampada la cosa più importante è la luce”. Le sue lampade sono un accostamento di figure geometriche elementari, per questo non fa disegni dei suoi progetti, ma ritiene che tutte le informazioni necessarie si possano trasmettere per telefono. La comunicazione con la produzione è quindi per Magistretti fondamentale per un buon design.
 
Esempio emblematico è la celebre Eclisse.

Ernesto Gismondi, fondatore dell’azienda Artemide, chiede all'architetto di creare una lampada in grado di risolvere il problema della regolazione dell’intensità delle fonti luminose. Lo stesso Magistretti narra che nel 1965, leggendo il romanzo di Victor Hugo, Les Miserables, sulla Metropolitana di Milano, s’imbatte nella descrizione della lanterna cieca utilizzata da Jean Valjean, per fare il ladro. Di qui l’ispirazione!
 
Uno schizzo sul retro del biglietto e una semplice telefonata al suo assistente in cui descrive l’idea bastano per creare la nuova icona della luce.
 
Nell’epoca della Space Age con il lancio dello Sputnik, Magistretti e Artemide danno vita a una lampada da tavolo in cui il paralume interno, rotante, permette di "eclissare" la sorgente luminosa, regolando l'intensità della luce.‎ Una giustapposizione di tre semisfere crea il concept. Non serve altro.
 
“Il fatto di poter comunicare il proprio disegno con le parole - sosteneva il progettista - obbliga a una chiarezza concettuale molto evidente”. Il risultato finale è molto vicino alla gente, con una forma di immediata sintonia.

Il ‘concept design’ di Magistretti è ciò che permette ai suoi prodotti di durare nel tempo, superando le mode e gli stili. Concepita negli stessi anni di Eclisse, la lampada da terra e da tavolo Chimera è “una semplicissima forma geometrica di tre cilindri in materiale plastico semitrasparente”, secondo le parole del designer.
 
Un progetto comunicato ancora una volta “per telefono senza disegno”, la cui configurazione dipende dalla resistenza per forma del materiale: una lastra in metacrilato opalescente a cui viene impressa, attraverso piegature a caldo, una sagoma a serpentina basata su tre cilindri, che la rende autoportante.
 
Diventato art director di Oluce, negli anni ’70 Magistretti dà forma ad Atollo, lampada che cambierà il modo di intendere il classico Abat-jour.
 
“Ho pensato di mostrare tre luci diverse a seconda delle parti della lampada. Cupola scura (nasconde la lampada), cono luminosissimo e bianchissimo. Cilindro di base grigio. Andava bene su un tavolo”.

Mantenendo la cura della propria tradizione nella logica della produzione in serie, Magistretti infonde nelle sue lampade, e più in generale nel suo approccio al progetto, una sobrietà tipicamente milanese con un tocco di ironia e leggerezza ben espresso dal cosiddetto ‘rosso Vico’, visibile in alcune versioni delle lampade più iconiche. Con le distintive ‘calze rosse’, la sua è l’immagine di un autorevole professionista che non si prende troppo sul serio.
 

Gae Aulenti e la luce site specific

Di tutt’altra filosofia è l’architetta Gae Aulenti secondo cui “una lampada non è una macchina per fare luce, bensì una forma in armonica relazione con il contesto per il quale è stata creata”.

Formatasi nella Milano degli anni ’50, Aulenti si fa spazio in un mondo fino ad allora appannaggio degli uomini. In un’epoca in cui il fascismo aveva lasciato in eredità un’architettura fatta di linee nette, rigide, scandite e austere, Aulenti sceglie volontariamente di discostarsene per allontanarsi da un regime che ostacolava apertamente l’emancipazione femminile. Diventa così la principale fautrice del Neoliberty.
 
In aperta opposizione al razionalismo imperante, abbracciato da altri luminari dell'epoca, i suoi progetti architettonici e di design ripropongono il gusto estetico per l’ornamento e le decorazioni.
 
Personalità versatile che spazia dall’architettura d’interni all’arredamento, dal design fino all’allestimento di showroom, mostre e palcoscenici, Gae Aulenti sviluppa negli anni ’60 un proficuo dialogo con FontanaArte, brand di illuminazione nato dall'incontro tra Gio Ponti e Luigi Fontana.
 
Da questo connubio nascono prodotti che rivelano l'approccio innovativo della progettista a forme e materiali. Tra questi, la lampada Giova segna l’esordio della designer nel campo dell’illuminazione d’autore. Ibrido tra un vaso e una lampada, Giova è una vera e propria scultura luminosa in vetro.
 
Gli allestimenti degli showroom Olivetti di Parigi e Buenos Aires consacrano Gae Aulenti a figura di spicco nel panorama architettonico internazionale. In questo contesto la designer dà vita a Pipistrello, lampada site specific per lo showroom parigino.
 
Nel progetto dello showroom che segue l’“idea di realizzare una vera e propria Piazza d’Italia” con “gradini, livelli differenti e la continuità nello spazio” come spiega Aulenti, Pipistrello doveva far risultare più evidente, per opposizione, l’individualità delle macchine da scrivere.

La forma sfuggente della base conica si sviluppa verso l’alto allargandosi nelle nervature del diffusore come lo spiegarsi delle ali di un pipistrello, in una rivisitazione decorativa della colonna greca.‎

Grazie all’incontro con l’imprenditore Elio Martinelli tramite il fondatore dell’azienda Poltronova con cui Aulenti collaborava, Pipistrello entra nella produzione industriale diventando lampada iconica arrivata fino ai nostri giorni.

Dopo Pipistrello, la designer e Martinelli luce creano altri prodotti come Ruspa, lampade di grande impatto emotivo, capaci da sole di dar carattere a un ambiente.

In seguito, alla fine degli anni ’70, l’architetta assume la direzione artistica di FontanaArte, iniziando a collaborare con altri grandi nomi del design del momento, tra cui il lighting designer Piero Castiglioni, figlio di Livio Castiglioni, con cui crea, tra le altre, la lampada Parola. Un modello esemplare di integrazione tecnica fra artigianato e industria in cui convivono in un solo oggetto tre diverse tipologie e lavorazioni del vetro: soffiato, naturale e cristallo naturale.

Lavorando insieme allo sviluppo di un sistema illuminotecnico in grado di rispondere alle esigenze espositive della nuova galleria di Palazzo Grassi a Venezia, Gae Aulenti e Piero Castiglioni si ritrovano a pensare a idee e soluzioni impossibili da ottenere con i prodotti in commercio esistenti: era necessario progettare qualcosa di nuovo.
 
L’incontro con iGuzzini, azienda italiana fondata nel 1959 a Recanati, fornisce ai due progettisti i mezzi necessari: in breve tempo il proiettore Cestello diviene realtà.
 
Dopo un’iniziale realizzazione quasi artigianale, specificatamente per Palazzo Grassi, l’azienda marchigiana, riconoscendone l’alto potenziale del proiettore, sceglie di avviare un processo di ingegnerizzazione e industrializzazione affrontato insieme ad Aulenti, Castiglioni e Fiat, allora proprietaria di Palazzo Grassi.
 
Da allora, il proiettore Cestello ha illuminato alcune delle più prestigiose Istituzioni culturali del mondo, come Palazzo Ducale a Venezia, le Scuderie del Quirinale a Roma, Le Samaritaine a Parigi e la Galleria Borghese a Roma.

Progettista eclettica e determinata, Gae Aulenti considera lo studio della luce e la sua propagazione nell’ambiente come i fondamenti di molti suoi progetti. Diversamente dagli altri Maestri dell’epoca non disegna specificatamente per la produzione industriale, ma per l’unicità del contesto.
 
"Io non ho quasi mai disegnato lampade da sole, le mie lampade sono una conseguenza, io ho sempre disegnato lampade per luoghi specifici, alcune poi sono entrate in produzione”.


Vico Magistretti - Ph. Philip Sayer


Achille Castiglioni in studio - © Flos


Achille Castiglioni con la lampada Luminator - © Flos


Achille e Pier Giacomo Castiglioni con M. Breuer e le lampade Taraxacum e Viscontea, Flos, 1962


Arco firmata Fratelli Castiglioni, Flos, 1962 - ©Flos


Achille e Pier Giacomo Castiglioni con lampada Taccia, Flos - Courtesy Ugo Mulas © Eredi Ugo Mulas


Achille Castiglioni - © Flos


Vico Magistretti nel suo studio - © Oluce


Eclisse, Vico Magistretti, Artemide, 1965


Chimera, Vico Magistretti, Artemide, 1970


Atollo e Vico Magistretti, Oluce, 1977 - © Oluce

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Achille e Pier Giacomo Castiglioni con M. Breuer e le lampade Taraxacum e Viscontea, Flos, 1962
Arco firmata Fratelli Castiglioni, Flos, 1962 - ©Flos
Achille e Pier Giacomo Castiglioni con lampada Taccia, Flos - Courtesy Ugo Mulas © Eredi Ugo Mulas
Achille Castiglioni - © Flos
Vico Magistretti nel suo studio - © Oluce
Eclisse, Vico Magistretti, Artemide, 1965
Chimera, Vico Magistretti, Artemide, 1970
Atollo e Vico Magistretti, Oluce, 1977 - © Oluce
Disegno a mano Eclisse rossa, Vico Magistretti, 1965 - © Artemide
Gae Aulenti e lampada Pipistrello, 1967 - Ph. Ugo Mulas
Lampade Pipistrello firmate Gae Aulenti per lo showroom Olivetti a Parigi, 1967 - © Martinelli Luce
Proiettore Cestello alla mostra dedicata a Gae Aulenti - Riproduzione Palazzo Grassi, Triennale Milano - Ph. Luca Rotondo
Gae Aulenti - © FontanaArte
Giova, Gae Aulenti, FontanaArte, 1964
Parola, Gae Aulenti e Piero Castiglioni, FontanaArte, 1980
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