07/07/2010 – Luci e ombre, pieni e vuoti, memoria e futuro, si alternano negli scatti realizzati dalla fotografa Patrizia Della Porta presso il Museo Ebraico di Berlino, progettato da Daniel Libeskind. A documentare questo viaggio “in bianco e nero” ci pensa la bella mostra dal titolo “The Berlin Jewish Mu-Seum” la cui inaugurazione si terrà nel pomeriggio di oggi, 7 luglio, presso Palazzo del Monferrato ad Alessandria.
“Per me lo spazio architettonico è soprattutto una dimensione interiore, mentale…Nelle mie fotografie lo spazio e il tempo acquistano una dimensione metafisica che io ottengo eliminando ogni riferimento al contesto urbano. Non inserisco mai la figura umana…Uso solo due elementi: la luce – quella del sole nella fase di ripresa e quella attenuata della camera oscura nella fase di stampa – e la prospettiva”, spiega Patrizia Della Porta.
Ne vien fuori un ritratto “essenziale” e sganciato dal contingente del grande edificio-scultura di Libeskind, la cui pelle in zinco, solcata da feritoie sottili, appare come epidermide umana segnata da cicatrici dolorose e indelebili. Il Museo Ebraico di Berlino è un'architettura caratterizzata da spazi “scomodi”, stranianti, capace di condurre il visitatore in un universo di memorie e testimonianze e di “procurare disagio”: dalla fredda torre dell’olocausto, con il piccolo taglio luminoso sul soffitto, al "vertiginoso" giardino E.T.A. di Hoffmann, con le sue 49 steli di cemento tagliate nella parte superiore con un piano obliquo, collocate su un terreno inclinato di 12 gradi a ricordare la fuga verso l’esilio. E poi la “strada della vita e della convivenza giudaico tedesca”, che conduce agli spazi espositivi attraverso una scala ove una serie di travi oblique sembrano precipitare sul visitatore.
“Nel lavoro sul Museo Ebraico di Libeskind a Berlino, che ho realizzato in due diversi momenti, l’esterno nel 2003 e gli interni nel 2006, ho percepito le finestre trasformarsi in tagli nell’edificio/materia, ferite nel corpo del popolo ebreo - aggiungePatrizia della Porta. Queste finestre/ferite di sofferenza, all’interno del museo si trasformano in fessure, portatrici di ‘Luce’ nell’anima di questo popolo. La foto scelta per la copertina del libro [dedicato a questa architettura] l’ho scattata nella “Torre dell’Olocausto”. Entrata in questa stanza, mi sono sentita trasportata in una dimensione metafisica, priva di spazio e tempo, un luogo di meditazione dove una debole luce che entra dall’alto si trasforma come in una fiamma, simbolo di consapevolezza e crescita dell’anima”.
La mostra sarà visitabile fino al prossimo 8 agosto.
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