02/09/2011 - Lo sviluppo sostenibile, ambientale, ma soprattutto sociale e culturale, specialmente in quei Paesi dove a una crescente “domanda di sviluppo” non sempre si accompagna la valorizzazione delle traduzioni, l’uso sostenibile delle risorse, né si propongono soluzioni abitative adeguate alle differenti peculiarità culturali, sociali, anche climatiche: prende le mosse da questi obiettivi il convegno “Nuove architetture”, che vede a Cersaie 2011 l’incontro tra i protagonisti dell’architettura dei “Paesi emergenti”, moderati da Fulvio Irace, ordinario di Storia dell’Architettura al Politecnico di Milano ed esperto di questioni storiografiche dell’architettura italiana e internazionale.
Ad essere di scena alla Galleria dell’Architettura, martedì 20 settembre alle 14, saranno proprio le soluzioni adottate in architettura perseguendo il fine della sostenibilità. Come quelle di Bjoy Jain, architetto indiano titolare dello Studio Mumbai, tornato in patria dopo anni di formazione e lavoro nello scenario europeo e statunitense, e profondamente colpito da come l’architettura indiana "sia stata ridotta per molti versi a semplice “copia” di quella occidentale". Da qui la decisione di fondare un proprio studio, dove artigiani, falegnami, scalpellini non sono solo “esecutori”, ma consulenti. Dove le risorse locali, anche a livello di materiali, diventano veicolo dell’architettura sostenibile e al tempo stesso un modo di valorizzare la tradizione, in un connubio di alto livello tra cultura occidentale e autoctona. Autore di progetti come il Palmyra House a Mumbai, Jain è stato insignito del Global Award for Sustainable Architecture, nel 2009, e ha partecipato alla scorsa edizione della Biennale di Architettura di Venezia con la personale “WorkPlace”.
Un altro racconto è quello di Diébédo Francis Kéré, originario del Burkina Faso e anch’egli portatore di una visione sostenibile dell’architettura che porta con sé implicazioni sociali e culturali rivoluzionarie. “Help to self-help”, questo il motto di Kéré, che già durante gli studi in Germania si era fatto portatore di progetti per aiutare il popolo del proprio Paese d’origine a dare una risposta soddisfacente alle esigenze abitative e di sviluppo urbano, da un lato, di scolarizzazione, assistenza sanitaria, occupabilità delle donne, dall’altro. Kéré ha oggi all’attivo progetti in tutto il mondo ed è stato premiato con l’Aga Khan per l’Architettura per la scuola realizzata nel proprio villaggio natale, Gando.
Da “global” a “glocal”, dunque, terreno d’azione di Emilio Caravatti, architetto nativo di Monza che ha fatto a sua volta dell’impegno sociale il carattere distintivo del proprio percorso. Forte di importanti realizzazioni in Italia e all’estero, Caravatti fonda nel 2006 Africabougou, onlus nata per portare in Africa occidentale quelle infrastrutture pubbliche (specialmente scuole e ospedali) che rappresentano la condizione essenziale per dare un futuro alle popolazioni di quelle zone. Docente al Politecnico di Milano, l’architetto brianzolo è stato insignito del Brick Award 2010, a Vienna, è stato menzionato come finalista per la Medaglia d’oro dell’architettura italiana 2009, insignito della menzione speciale al Premio Arches 2006, proprio per gli importanti progetti realizzati sul suolo africano.
Quarto protagonista di Nuove Architetture è Riccardo Vannucci, architetto romano il cui percorso professionale si dipana tra design, ingegneria e management. Titolare dal 2006 di Fare Studio, ha lavorato in Italia, Medio Oriente e Africa, a cominciare proprio dal Burkina Faso – con la progettazione del Centro per la salute femminile e la prevenzione delle mutilazioni genitali femminili – per opere che sono valse a Vannucci numerosi riconoscimenti, inclusa la selezione tra i 19 finalisti dell’Aga Khan Award 2010. Non poteva infine mancare un rappresentante della vivace architettura cinese: Zhang Ke, fondatore di Standardarchitecture, studio di Pechino che raggruppa progettisti con formazioni diverse tra Cina, Europa e USA. Tra le opere al suo attivo numerosi edifici pubblici, quali la base di approdo ed il centro visitatori sul fiume Yalutsangpu in Tibet.
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