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Ph. © Anna Dziedzic
17/05/2019 - “La città non è solo un luogo di spazi e di forme ma, inevitabilmente, esprime la sua dimensione anche attraverso i suoni: ogni luogo ha una propria impronta acustica che riflette attività umane, relazioni col mondo e con sé stessi” - Giuseppe Azzarelli.
Stefano Meneghetti, classe 1964, musicista e artista grafico, ha percorso diverse strade prima di maturare la consapevolezza di essere portato, più di ogni altra cosa, per la composizione di geometrie sonore e visuali. Collabora come grafico e video maker di Gary Numan, Franco Battiato, Byetone, Lorenzo Palmeri e molti altri, ma la sua sfida più grande (e sogno nel cassetto fin da bambino) è sempre stata quella di produrre un album, coinvolgendo i suoi amici musicisti.
L’occasione arriva passeggiando tra gli appartamenti dell’ Unité d'Habitation di Marsiglia che ispira Meneghetti per la produzione del suo album dal titolo“La Cité Radieuse”.
”La musica mi è stata amica durante tutto il periodo dell’adolescenza, mi ha aiutato a creare mondi paralleli e vicendevolmente ha nutrito la mia immaginazione. La Cité Radieuse è il risultato di questa avventura.”
Meneghetti si è mosso in modo discreto, all’interno dell'architettura per osservare le sinergie tra le vite individuali e collettive che tuttora si svolgono nella "città radiosa". “Qui gli abitanti di uno stesso edificio vivono a pochi centimetri di distanza, separati da un semplice tramezzo, condividono gli stessi spazi ripetuti di piano in piano, fanno gli stessi gesti nello stesso tempo, aprire il rubinetto, accendere la luce, preparare la tavola, qualche decina di esistenze simultanee che si ripetono da un piano all'altro, da un edificio all'altro, da una via all'altra”, afferma Meneghetti.
Il risultato è un lavoro a più mani che riflette le relazioni creative con altri artisti, scrittori, compositori. Un invito ad una condizione di “attitudine all’ascolto”, un viaggio visuale che Meneghetti ci racconta in questa intervista.
Partiamo dal principio. Possiamo dire che Cité Radieuse è il “campo gravitazionale” dove tutto ebbe inizio?
È una bella definizione. Effettivamente ognuno di noi può trovarsi inaspettatamente davanti ad un “campo gravitazionale” capace di alterare il nostro percorso. Questo cambiamento io l’ho percepito scoprendo l’Unité d'Habitation di Marsiglia.
Nonostante gli accesi dibattiti che accompagnano l’opera sin dal suo concepimento, nel lontano 1947, in una Marsiglia post-bellica, mi ha ispirato sotto molti punti di vista. Mi ha incuriosito inoltre esplorare il contesto culturale in cui ha vissuto Le Corbusier perché, parafrasando una definizione antica, le idee sono animali sociali: deperiscono in solitudine e prosperano in compagnia.
Ph. © Anna Dziedzic
Sembrerebbe un richiamo al movimento dadaista in cui gli artisti, tramite la sola pratica estetica del camminare e dell’osservare, svelavano nuove possibilità di operare sulla città, in una specie di unione tra arte e vita. Quali sono state le suggestioni sonore e le visioni che ti hanno portato a dare vita a questo progetto?
Questo album è un progetto trasversale, difficile da inquadrare in un genere e inadatto ad ogni tipo di classificazione. In alcuni brani, interamente strumentali, il tema viene esposto e destrutturato. Unisce elementi acustici a suoni elettronici, per generare un forte impatto emotivo e un effetto quasi destabilizzante. L’ascoltatore deve perdersi per potersi ritrovare.
Ci sono influenze di vario genere: da Battiato, con il suo album “Campi magnetici”, alla ricerca che diventa stile di Teho Teardo. Da “Another Green World” di Brian Eno alle composizioni di Gustav Mahler, senza dimenticare la sensibilità sperimentale e intuitiva di Holger Czukay. E poi Alberto Giacometti, Lorenzo Mattotti, Alessandro Gottardo, Jirō Taniguchi, Chris Ware e molti, molti altri…
Tante influenze, perché esperienze e percorsi diversi ci portano inevitabilmente ad essere personaggi poliedrici in perenne mutamento.
L’idea che accomuna musica e architettura ha radici profondissime. I Greci trasferirono in architettura le proporzioni che già avevano ravvisato proprio nella musica; nella Germania ottocentesca Goethe definì l’architettura ‘musica congelata’...insomma, oggi di certo non ci si stupisce se si accostano alcuni compositori ad architetti. Quali sono secondo te i maggiori punti di incontro tra queste due arti?
Mostrando la relazione che lega la lunghezza di una corda con l'altezza del suono da essa prodotto, Pitagora costruì il primo ponte tra la natura e la percezione, tra la fisica e l'estetica; o più semplicemente, scoprì una formula che realizza un'equivalenza fra l'occhio e l'orecchio.
Ci sono sicuramente tanti punti di contatto tra Musica e architettura. In musica si parla di armonia, di equilibrio, di proporzione, di ritmo; tutti termini che riconosciamo anche in campo architettonico. Lo stesso Le Corbusier ha paragonato l’invenzione del sistema di misura “armonico”, il Modulor, basato sulle dimensioni dell’uomo, ai concetti musicali.
La corrispondenza tra Architettura e Musica si è andata sempre più integrando, in quanto l’architettura deve trovare forme per comunicare cercando di coinvolgere tutti gli ambiti sensoriali dell’individuo. La musica, pertanto, stimolando le facoltà uditive, può coinvolgere l’individuo e introdurlo in dimensioni sempre nuove, in quanto la musica è ritmo, è tempo.
Sono persuaso che chiunque voglia esprimersi in un'attività creativa deve cominciare a cogliere l'essenza delle altre forme d'arte senza fermarsi unicamente alla propria. Provino gli architetti a riflettere da musicisti ed ugualmente facciano i musicisti con l'architettura: la conseguenza potrebbe essere da un lato la progettazione del tempo, dall'altro il suono dello spazio, nel senso della musicalità e non dell'acustica.
L’architettura come la musica è un’esperienza pervasa da una forte energia collettiva. Secondo Brian Eno “la qualità dei lavori prodotti nello stesso tempo e luogo è dovuta più alla frizione tra le persone presenti sulla scena che al lavoro di un singolo artista”. Cité Radieuse è un lavoro corale in cui hai coinvolto i tuoi compagni di viaggio, “les amis”..
C’è un proverbio africano che dice: “se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme.” Aver lavorato al fianco di personaggi del calibro di Giuseppe Azzarelli e Massimiliano Donninelli, entrambi compositori e direttori d'orchestra, di musicisti talentuosi come Yannick da Re (percussioni e canto Kargiraa), Cristian Inzerillo (basso elettrico) e di un produttore artistico come Alessandro Rorato (Creative and Sound assembler) ha fatto sì che le suggestioni e le immagini si espandessero oltre il mio personale “immaginario”, creando scenari caleidoscopici.
In particolare, il pianoforte del maestro Azzarelli è un esempio di note strutturate per ricreare il rapporto armonico tra lo spazio e l’essere umano.
Il progetto è anche un incontro di differenti mondi e differenti saperi. Oltre ai vari musicisti coinvolti, in questo progetto contribuiscono anche grafici, scrittori..
Il progetto è fondamentalmente composto da due entità: il disco ed il libro.
Per il libro abbiamo coinvolto diversi personaggi (architetti, designer, ingegneri, compositori...) che hanno esplorato liberamente le possibili interconnessioni tra i temi del progetto, come la luce, i colori, il suono, gli ambienti e le relazioni umane.
Come definiresti questo progetto? Un omaggio all’architettura e a Corbu? Una creazione di mondi paralleli?
Preferisco pensarlo come un viaggio visuale. Le Corbusier una volta ha detto: "I am a young man of 71 years old. I am a visual man, a man working with eyes and hands and limited by plastic manifestations. My research is like my feeling, directed to what is the principal value in the life, the poetry. Poetry is in the heart of man and is the capacity to go into the richness of nature.»
Ph. © Anna Dziedzic
Gli abitanti di uno stesso edificio vivono a pochi centimetri di distanza, separati da un semplice tramezzo, e condividono gli stessi spazi ripetuti di piano in piano, fanno gli stessi gesti nello stesso tempo, aprire il rubinetto, accendere la luce, preparare la tavola, qualche decina di esistenze simultanee che si ripetono da un piano all'altro, da un edificio all'altro, da una via all’altra.
Un po’ come nel famoso film di Charles e Ray Eames, "Potenze di dieci", che dai confini dell’universo arrivava fino all’atomo, entrando nel corpo delle persone. Nel nostro viaggio siamo partiti dal grande progetto architettonico per arrivare fino al singolo individuo. Ci siamo mossi in modo discreto all’interno dell'Unité d'Habitation de Marseille, osservando le vite individuali, familiari e collettive che tuttora, si svolgono nella città radiosa.
Qui è possibile visualizzare un anteprima del lavoro di Stefano Menghetti
Contatti:
https://www.produzionidalbasso.com/project/cite-radieuse-debut-album/
https://www.facebook.com/AlbumCiteRadieuse
https://www.stefanomeneghetti.it
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