16/04/2010 - Sabato 8 maggio 2010, presso il presso il Teatro Comunale di Treviso, la Fondazione Benetton Studi Ricerche consegnerà ufficialmente il Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino 2010.
La commissione giudicatrice, ha deciso, all’unanimità, di premiare il sito di Dura Europos, presso Salhiyé, sulla riva destra del corso medio dell’Eufrate, in Siria, a circa 90 chilometri sulla strada che da Dayr az-Zawr porta al ponte di Abu Kamal, odierno confine con l’Iraq.
Il premio, nato per elevare e diffondere la cultura del “governo del paesaggio”; si propone come occasione e strumento per far conoscere, al di là dei confini delle ristrette comunità di specialisti, il lavoro intellettuale e manuale necessario per governare le modificazioni dei luoghi, per salvaguardare e valorizzare i patrimoni autentici di natura e di memoria.
Dura Europos è quanto resta di una città antica, per tre lati cinta da mura, con il quarto lato affacciato a oriente sul grande fiume da un dislivello di oltre 40 metri, uno scarto orografico che rende spettacolare la leggibilità simultanea della sottostante pianura alluvionale fertile fino all’orizzonte, e della poderosa struttura verticale dei rimparti drammaticamente in bilico. A nord e a sud, le mura seguono la linea frastagliata delle profonde incisioni del terreno scavate dalle acque che dall’altopiano steppico vanno al fiume.
A occidente il muro è rettilineo, lungo quasi un chilometro, scandito da quattordici torri, aperto dalla “porta di Palmira”, dotata a sua volta di altre due torri maggiori. Scoperto “per caso” da un reparto militare nel 1920, questo sito archeologico ha richiamato subito l’attenzione di eminenti studiosi europei e americani, e grazie a tre successive fasi di indagini, ha restituito uno dei più cospicui patrimoni di memoria sui molteplici momenti e aspetti della storia delle civiltà, delle arti, dei culti religiosi che si sono radicati nell’area mediorientale nell’arco di più di cinque secoli, dalla fine del IV a.C. alla metà del III d.C., in un territorio particolarmente permeabile agli incontri e agli scambi tra mondo mediterraneo e mondo asiatico.
Già dalla prima avventurosa campagna di scavi condotta da Franz Cumont (1868-1947) con intensità frenetica e con la partecipazione di interi reparti militari nel biennio 1922-1923, era emersa una mole impressionante di ritrovamenti e di interrogativi.
Nella seconda fase, con le campagne di scavi promosse nel decennio 1928-1937 dall’Università di Yale sotto la direzione di Mikhail Rostovtzeff (1870-1952), le scoperte si sono susseguite con sorprendente ricchezza, della quale i vari rapporti pubblicati danno conto puntuale, mentre i reperti venivano prelevati e trasportati: le pitture parietali della Sinagoga nel Museo Nazionale di Damasco; quelle della chiesa domestica cristiana, con altri circa tredicimila pezzi e un’ampia documentazione sui cantieri, nelle collezioni dell’Università di Yale; altri nel Museo del Louvre e nella Biblioteca Nazionale di Parigi; altri ancora nei Musei Siriani di Aleppo, Marat Ann Nu’Man e Dayr az-Zawr; mentre la corrispondenza di Franz Cumont è conservata a Roma nell’Academia Belgica.
La terza fase, iniziata nel 1986, è in corso, affidata a una missione franco-siriana coordinata da Pierre Leriche, con un archeologo della Direzione Generale delle Antichità e dei Musei della Repubblica Araba di Siria, attualmente Amir Alhaio, e con la collaborazione internazionale di vari specialisti. La missione lavora soprattutto a consolidare le degradate strutture delle mura e dei monumenti fondamentali, a rendere noti i risultati delle indagini, ad aggiornare le referenze filologiche e cronologiche, ad approfondire il quadro già particolarmente significativo delle conoscenze. Ciò che resta in situ dell’antica città costituisce dunque oggi un grande laboratorio internazionale di ricerca che coinvolge esperti di molte diverse discipline, storia e geografia, geologia e idrogeologia, storia delle città e delle mura, storia delle idee, dei culti, delle lingue e delle arti.
C’è ancora molto da studiare e da capire. Ma è certo che questo luogo ha vissuto come organismo urbano fortificato per oltre cinque secoli, dalla fine del IV a.C. alla metà del III d.C. Alla sua fondazione, nel sito di un preesistente rimparto (dawara, doura, dura), viene chiamato Europos. È un bastione difensivo, che controlla la strada da Antiochia a Seleucia sul Tigri, le due capitali dell’impero seleucide. Alla metà del II a.C. trova la sua forma urbis ordinata e definitiva come colonia greco-macedone, centro di influenza ellenistica nell’area mesopotamica. Nel 114 a.C., dopo una lunga pressione, i Parti la conquistano. La nuova influenza orientale si protrae per tre secoli, due dei quali in una condizione di tollerante vicinanza dei Romani. Solo nel 115 d.C. Traiano decide di assoggettarla, ma subito dopo Adriano (117-138) la restituisce ai Parti e nell’età di Marco Aurelio (161-180) torna nell’impero romano, fino al 256 d.C., quando i Sassanidi la assediano e la passano per le armi. Da questa data, fino al 1920, la città scompare dalle mappe ed entra in un interminabile silenzio della storia e della geografia. Città abbandonata, perduta, priva del suo carattere di sito archeologico conosciuto, e perciò salvata da ogni riuso, sopraluogo, visita e qualsivoglia altro interesse o tentazione nel corso del tempo. La sua scoperta diviene tanto più stupefacente quanto più è radicale l’assenza dell’aura di cui dispongono i paesaggi di rovina, grazie alle testimonianze dei pellegrini medievali, degli umanisti antiquari, dei viaggiatori del Grand Tour. Curiosamente, ancor oggi pochi amano spingersi di norma oltre Palmira, mentre Dura Europos da un giorno di marzo del 1920 continua a offrire, come rari altri luoghi, la scena aperta sulla lotta tra le forze di elevazione che hanno connotato i cinque secoli della sua vita attiva e le forze di rovina che hanno lavorato nel corso dei successivi sedici secoli del silenzio. E se non possiamo misurare qui la metamorfosi del gusto col quale le varie generazioni hanno guardato questo patrimonio culturale nel corso dei millenni, possiamo almeno osservare da vicino la rapida e significativa trasformazione dei metodi e degli strumenti di indagine avvenuta nel tempo breve degli ultimi novant’anni di scavi, asportazioni, ricerche e interventi.
Europos Dura – come gli studiosi dell’attuale Missione archeologica franco-siriana, e la bibliografia più recente, la chiamano – ci appare dunque insieme come un sorprendente balcone sull’Eufrate, come un deposito stratificato di segni e di simboli da continuare a interrogare, come un caso di “diaspora” di documenti sparsi nel mondo. Per tutte queste ragioni costituisce un nodo peculiare nella geografia e nella storia plurimillenaria della Siria, un limite e insieme un crocevia tra mondi diversi: ellenismo, oriente, romanità. Ha accumulato nel corso del tempo testimonianze alte e singolari di civiltà e religioni diverse, restituendo una gamma peculiare di edifici di culto, dai vari templi pagani ai due esempi cruciali della sinagoga affrescata e della chiesa domestica dei cristiani delle origini. Ha custodito queste testimonianze nel corso del tempo sotto le sue stesse rovine, riparandole dal grande fiume non sempre amico, dal vento e dal sole, dalle greggi, dalle carovane e da ignari eserciti di passaggio, fino alla loro riemersione; e ci interroga su tutte le questioni fondamentali, dal paesaggio alla museografia, che danno senso, norma e progetto al governo dei patrimoni culturali.
Per Dura Europos, per la salvaguardia e lo studio di quel che ne resta in situ, per la cura di quel che se ne conserva nei diversi musei, la Giuria del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, mentre chiede l’attenzione del mondo scientifico e della comunità tutta, consegna alla Direzione Generale delle Antichità e dei Musei della Repubblica Araba il sigillo del riconoscimento e dell’impegno.
Il prossimo 23 aprile presso gli spazi Bomben, in via Cornarotta 7 a Treviso, verrà inaugurata la mostra intitolata “Dura Europos, Siria”, contenente una selezione di materiali fotografici e documentari che illustrano la dimensione storico-geografica, la vicenda archeologica, gli aspetti paesaggistici e culturali utili a capire l’importanza del sito. L’esposizione sarà visitabile fino al prossimo 27 giugno.
Fonte: Ufficio Stampa Fondazione Benetton Studi Ricerche
|