18/09/2008 – “Ha ancora senso riproporre il tema della casa per intravedere la città del domani? Ma soprattutto, c’è ancora qualcuno che vuol prendersi cura della città come complesso tessuto di relazioni, che può anche essere in parte definito, e progettato, proprio a partire dalla considerazione che da sempre essa è fatta da chi la abita?”
Parte da queste considerazioni la proposta del Padiglione italiano per l’11. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. A cura di Francesco Garofalo con il titolo “L’Italia cerca casa / Housing Italy”, il Padiglione italiano affronta il tema dell’abitare come una importante sfida architettonica che “nell’ambito della Biennale – spiega il curatore – è superata con la ricerca e l’immaginazione, ma che domani potrebbe dar vita a sperimentazioni concrete con il coinvolgimento di istituzioni e committenti”. Sembrerebbe dunque trattarsi, sebbene con un approccio apparentemente lontano, della stessa esigenza evidenziata da Betsky: ritrovare il senso della città come un sistema di relazioni, funzionali e spaziali, entro cui dar luogo alla vita delle persone; fare in modo che per tutti coloro che la abitano sia di nuovo possibile “sentirsi a casa”.
La mostra propone il tema della “casa possibile” nell’Italia di oggi mettendo in mostra dodici proposte progettuali che forniscono modelli e spunti di riflessione per una rivisitazione del tema della residenza collettiva. Dodici esempi pensati per case appartenenti ad una società multiculturale le cui molteplici esigenze rendono necessario un approccio progettuale completamente nuovo.
Garofalo illustra alcuni temi che emergono dai progetti su cui la discussione potrebbe proseguire:
“Il primo è una ipotesi, non banale, di riuso come “riciclo”, da non confondere con il recupero di qualsiasi manufatto che affligge l’Italia, un paese che mette le università e i tribunali nella caserme ( Studio Albori).
A questo si collega un secondo tema che viene spesso affrontato in termini scontati, quello della sostenibilità ( Mario Cucinella, in contrappunto al bricolage di Albori).
Un atteggiamento abbastanza condiviso riguarda la capacità della città esistente di essere intensificata, e non solo densificata, per rispondere alla domanda di abitazioni ( Baukuh, IaN+).
Un quarto tema è l’esplorazione di programmi e strategie nuove rispetto ai limiti dell’edilizia sociale tradizionale. I progetti si definiscono spesso a partire da fenomeni sociali e insediativi originali ( Cliostraat, il caso più estremo, a cui non mancano riscontri oggettivi).
C’è poi una tendenza a mettersi in gioco come progettisti in una processualità che attenua il ruolo risolutore della forma, per lasciare spazio ad un dialogo con i soggetti coinvolti ( Stalker/Osservatorio nomade, Marco Navarra_NOWA).
Una delle questioni di fondo è la “necessità di alternative a ciò che esiste – non altre case, ma case diverse”. Per questo il progetto di Luca Emanueli scava criticamente nei limiti della “norma”.
Infine c’è chi ha l’ambizione di parlare dell’abitare come campo di stili di vita nuovi e talvolta conflittuali. Questa ricerca si esprime fino al limite antropologico delle visioni di Andrea Branzi, ma anche nel lavoro di Salottobuono, oppure di Italo Rota. Il limite antropologico si inverte in limite architettonico nel progetto radicale della casa viadotto di Beniamino Servino con i suoi scivoli rinomatici”.
LA MOSTRA
L’allestimento delle due sale alle Tese delle Vergini all’Arsenale (una ellittica e l’altra rettangolare) è composto da tre soli elementi. La sala ellittica, eredità della mostra del 2006, contiene i materiali dell’attualità in forma di videoclip. Il grande spazio rettangolare è circondato su tre lati da un muro di immagini di 350 metri quadri con il racconto della casa collettiva nell’Italia del ventesimo secolo. Sulle pareti si manifesta uno spazio della “lettura” che si confronta con quello del “laboratorio” di nuovi progetti al centro del padiglione. Questi sono collocati su grandi piattaforme o all’interno di installazioni concepite dagli architetti invitati.
IL PRESENTE - Il percorso inizia dalla conoscenza della situazione attuale con il video concepito e disegnato per la mostra, dal titolo provvisorio “Dalla casa all’abitare”. La regia è di Maki Gherzi, uno dei più noti videomaker italiani e l’animazione grafica di Kalimera, studio di creativi di Reggio Emilia: vengono raccontati in pochi minuti i dati sorprendenti del nuovo problema della casa (uno per tutti: il debito delle famiglie italiane ammonta a 300 mld di Euro, di cui 250, oltre l’83%, per i mutui). Il testo, scritto da Giovanni Caudo, viene tradotto nel linguaggio sintetico dell’animazione fino a formulare le condizioni per la “casa possibile”.
IL PASSATO - La grande installazione sulle pareti della sala rettangolare racconta le diverse facce dell’eredità della casa popolare italiana. È un’eredità oggi sospesa tra nostalgica riscoperta e ideologiche smanie di demolizione. Tra i temi affrontati: i quartieri, i grandi edifici, lo spazio pubblico, i servizi collettivi, la casa ideale, la sfera domestica. Disegnata da Mario Lupano e Laboratorium, è frutto del lavoro collettivo dei curatori diretto da Maristella Casciato. Si tratta, con ogni probabilità, del disegno più grande di tutta la Biennale 2008: traduzione in atlante di una ricerca rigorosa che si fonda su un ricchissimo archivio iconografico.
IL FUTURO - I progetti degli architetti sono al centro del padiglione. Proposte esemplari, come quelle per il recupero di quartieri di edilizia sociale, per la riconversione residenziale di aree produttive, strategie per sfruttare meglio la risorsa città, piuttosto che consumare altro territorio, idee di nuovi habitat e di case sostenibili, e quelle per gli insediamenti di specifiche comunità immigrate nel nostro Paese.
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