29/09/2008 - È il desiderio di promuovere una concezione allargata della pratica e della responsabilità architettonica a caratterizzare i lavori presentati in Into the Open: Positioning Practice, mostra ospitata all’interno del padiglione Stati Uniti alla 11ª Biennale di architettura di Venezia, collocato ai Giardini.
L’esposizione vuole offrire una disamina delle modalità attraverso cui i progettisti statunitensi stanno tentando di partecipare alla costruzione metaforica e spaziale delle comunità, mossi dal desiderio di allargare le pratiche di compartecipazione nell’amministrazione di ciò che è pubblico, rispondendo alle attuali condizioni sociali.
Tutti i lavori esposti si divincolano dal modo tradizionale di concepire l’architettura, e utilizzano come coordinate principali i dati demografici emersi negli ultimi anni in nord America. “In una situazione caratterizzata da impasse territoriali e istituzionali, gli architetti, gli urbanisti e gli attivisti delle comunità devono intervenire nelle situazioni ‘superando i confini del costruire’”, hanno asserito William Menking, Aaron Levy e Andrew Sturm curatori della mostra.
I progetti presentati affondano le loro motivazioni nell’analisi dei mutamenti socio-culturali generati dai mutamenti dei confini geopolitici, dal gap nord-sud del mondo nello sviluppo economico mondiale, del fenomeno migratorio e dell’urbanizzazione.
I sedici espositori, promotori di una politica urbana condivisa nelle relative comunità di appartenenza, hanno fatto ricorso a nuove modalità di ricerca urbana, ponendo l’accento sulla possibilità di formulare un'economia dello sviluppo “inventiva e interdisciplinare”, che superi l’eterna scissione tra istituzioni, enti, giurisdizioni, individuando risorse che altrimenti rimarrebbero “nascoste tra le pieghe del privato, del pubblico, del settore non-profit”.
Eccone i nomi: Center for Land Use Interpretation, Center for Urban Pedagogy (CUP)
Design Corps, Detroit Collaborative Design Center, Gans Studio, Heidelberg Project, International Center for Urban Ecology, Jonathan Kirschenfeld Associates, Project Row Houses, Rebar, Rural Studio, Spatial Information Design Lab/Laura Kurgan, Studio 804,
Smith and Others, The Edible Schoolyard/Yale Sustainable Food Project, Estudio Teddy Cruz.
Ironico e pungente il lavoro dell’Estudio Teddy Cruz di San Diego, California. L’installazione vuole raccontare l’assurdo divario nelle condizioni di vita esistenti nei due versanti della frontiera Stati Uniti-Messico: dalla ricchezza della zona a nord di San Diego alla miseria dei senza tetto di Tijuana. Un “muro di confine” si dispiega per 27 metri attraverso l’intera facciata e il cortile del Padiglione degli U.S. diventando punto di passaggio, metaforico e reale, per i visitatori della mostra. Una riproduzione fotografica del muro, che corre lungo il confine degli Stati Uniti con il Messico a partire da San Diego, assieme al fotomontaggio che mostra i 96 chilometri a nord e a sud della barriera, costituisce la rappresentazione grafica dei conflitti che sono diventati un punto critico in politica ed economia.
L’architetto newyorchese Deborah Gans, propone una casa “srotolabile”, alloggio provvisorio per quanti, in condizioni emergenziali, necessitino di un rifugio temporaneo.
Risposta alla sofferenza dello sradicamento dalla propria casa. Questo genere d’infrastruttura è stato sviluppato di recente per un utilizzo di facile trasportabilità nelle riserve degli Indiani d’America, in particolare nel South Dakota.
Lo Spatial Information Design Lab di Laura Kurgan, si serve di mappature e animazioni per dimostrare la relazione esistente tra dati demografici e sistema penale, con una analisi spaziale del denaro speso per l’incarcerazione, messo a paragone con gli investimenti in infrastrutture abitative e di quartiere in alcune aree di New York City.
L’intero padiglione vede modificato il suo assetto tradizionale: la consueta simmetria assiale della circolazione interna all'edificio è modificata attraverso l'aggiunta di un tavolo da riunione di forma ellittica, che impone al visitatore un moto circolare. Attorno al tavolo sono esposte le sedici opere, collocate nello spazio esterno del giardino e in ciascuna sala espositiva. Sul tavolo una sceneggiatura visiva che mostra "il modo in cui implementare le tecniche per le azioni di trasformazione della comunità”
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